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L'UDIENZA DEL PAPA

«Guardare il Giudizio finale per cambiare la vita»

Spesso i cristiani non hanno la fede nel ritorno di Cristo, che invece è fondamentale perché ci aiuta a vivere bene il presente, per imparare ogni giorno a riconoscerlo nei piccoli. Lo ha detto Papa Francesco nell'udienza del mercoledì. - Il testo dell'udienza

Ecclesia 24_04_2013
Papa Francesco

Proseguendo nelle catechesi per l'Anno della fede, iniziate da Benedetto XVI e da lui proseguite, Papa Francesco ha proposto nell'udienza generale del 24 aprile 2013 una meditazione sull'affermazione del Credo dove professiamo che Gesù «di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». La storia, ha spiegato il Papa, «ha inizio con la creazione dell’uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio e si chiude con il giudizio finale di Cristo. Spesso si dimenticano questi due poli della storia, e soprattutto la fede nel ritorno di Cristo e nel giudizio finale a volte non è così chiara e salda nel cuore dei cristiani». Gesù, invece, nella sua predicazione ha costantemente insistito sulle realtà ultime. Il Pontefice ha presentato tre testi del Vangelo di Matteo, tutti parte di uno stesso discorso escatologico di Gesù: quello delle dieci vergini, quello dei talenti e quello del giudizio finale.

Con l'Ascensione, della cui realtà di evento storico Papa Francesco aveva parlato nella precedenti catechesi del mercoledì, inizia quel « “tempo immediato” tra la prima venuta di Cristo e l’ultima, che è proprio il tempo che stiamo vivendo». In questo contesto del «tempo immediato» s'inserisce anche la parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13). Come sappiamo, è la storia di dieci ragazze che aspettano l’arrivo del loro sposo, che però tarda, così che si addormentano. Finalmente lo sposo arriva ma solo cinque vergini sagge hanno conservato l'olio per le loro lampade. Le cinque vergini stolte, rimaste senza olio e con le lampade spente, saranno rigettate dallo sposo.

La parabola non ci invita solo a essere vigilanti. Ha un preciso significato escatologico. «Lo Sposo è il Signore, e il tempo di attesa del suo arrivo è il tempo che Egli ci dona, a tutti noi, con misericordia e pazienza, prima della sua venuta finale; è un tempo di vigilanza; tempo in cui dobbiamo tenere accese le lampade della fede, della speranza e della carità, in cui tenere aperto il cuore al bene, alla bellezza e alla verità; tempo da vivere secondo Dio, poiché non conosciamo né il giorno, né l’ora del ritorno di Cristo».

Non dobbiamo interrogarci ansiosamente sulle date della fine di questo mondo, come molti fanno anche oggi. «Quello che ci è chiesto è di essere preparati all’incontro - preparati ad un incontro, ad un bell’incontro, l’incontro con Gesù -, che significa saper vedere i segni della sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio». E questo ha un riflesso anche sulla nostra vita e sulla nostra gioia quotidiana. «La vita dei cristiani addormentati è una vita triste, non è una vita felice. Il cristiano dev’essere felice, la gioia di Gesù. Non addormentarci!».

La seconda parabola che il Pontefice ha commentato è quella dei talenti, che - ha detto - «ci fa riflettere sul rapporto tra come impieghiamo i doni ricevuti da Dio e il suo ritorno, in cui ci chiederà come li abbiamo utilizzati (cfr Mt 25,14-30)».  Anche questa parabola è molto nota: un padrone consegna a ciascuno dei suoi servi delle monete, chiamate talenti, chiedendo di farle fruttare mentre è assente . Al primo servo consegna cinque talenti, al secondo due e al terzo uno. I primi due servi fanno fruttare i loro talenti, mentre il terzo per non rischiare preferisce sotterrare la propria moneta e riconsegnarla poi al padrone. Quando torna, il padrone loda i primi due servi,  mentre il terzo viene cacciato fuori nelle tenebre, «perché - spiega il Pontefice - ha tenuto nascosto per paura il talento, chiudendosi in se stesso. Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano! E’ un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato!».

Nella sua dimensione specificamente escatologica, la parabola insegna «che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione - noi siamo nel tempo dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo». La parabola è anche attuale per un periodo di crisi, non solo economica. «E in particolare in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi». Ai giovani, in particolare, Papa Francesco chiede: «Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!».

Infine, nello stesso discorso dopo le parabola è descritta la seconda venuta del Signore, quando Egli giudicherà tutti gli esseri umani, vivi e morti (cfr Mt 25,31-46). Matteo ci presenta un pastore che separa le pecore dalle capre. Alla destra vanno le pecore, coloro che si sono presi cura degli altri, a sinistra le capre, quelli che si sono preoccupati solo di se stessi. «Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi». Certo, «dobbiamo sempre tenere ben presente che noi siamo giustificati, siamo salvati per grazia, per un atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede; da soli non possiamo fare nulla. La fede è anzitutto un dono che noi abbiamo ricevuto. Ma per portare frutti, la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura a Lui, la nostra risposta libera e concreta. Cristo viene a portarci la misericordia di Dio che salva. A noi è chiesto di affidarci a Lui, di corrispondere al dono del suo amore con una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall’amore».

«Guardare al giudizio finale» non deve né «fare paura» né suscitare vane curiosità. Deve cambiarci la vita,, farci «vivere meglio il presente». «Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore». Così, alla fine della nostra vita, ci riconoscerà come «servi buoni e fedeli».

- IL TESTO DELL'UDIENZA