Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
LA SETTIMANA

Guardar dentro alle riforme di Renzi

Finora il programma riformatore del governo andava bene a tutti. Poi è saltato il patto del Nazareno e Berlusconi (con i suoi media) ha iniziato a guardarci dentro e a mostrarlo al pubblico. Si "scopre", come diciamo da tempo, che sono riforme centraliste e autoritarie. Che peggioreranno i problemi dell'Italia.

La Settimana 10_02_2015
Italicum

Eletto il nuovo presidente della Repubblica, tornano in scena “le riforme” che Matteo Renzi brandisce come l’opus magnum del suo governo. Berlusconi, irritato per la rottura del patto del Nazareno, promette al riguardo grandi battaglie. Se fosse così… non tutto il male verrebbe per nuocere.

Finché, infatti, il patto del Nazareno restava in vigore “le riforme” di Renzi gli andavano benissimo, a parte qualche dettaglio. E magari gli andrebbero bene di nuovo se Renzi tornasse sui suoi passi. La vicenda allunga meste ombre sulla nostra democrazia, tutto sommato ancora in erba. Grazie all’intesa fra Renzi e Berlusconi il cammino delle “riforme” è sin qui andato avanti senza alcuna pubblica analisi e nessun pubblico dibattito sul loro contenuto. In quanto alla riforma costituzionale si è poi sbrigativamente parlato di “riforma del Senato” quando in effetti è una riforma generale che implica la modifica di circa un terzo della Costituzione. All’informazione e all’esame di queste riforme nel dettaglio, né i grandi quotidiani, né le grandi catene televisive hanno dato lo spazio che sarebbe stato doveroso.

Nella condizione moderna non c’è più bisogno che i potenti decidano sulla testa del popolo nel chiuso dei loro palazzi. All’esclusione del controllo popolare sul dibattito politico provvedono i grandi giornali e le grandi catene radiotelevisive semplicemente tacendo delle questioni davvero importanti sul tappeto e saturando invece l’attenzione del pubblico con pettegolezzi e notizie secondarie. E’ una censura cui i grandi media si piegano perché costretti a viva forza o perché prezzolati? Non ce n’è bisogno, lo fanno di  buon grado e gratis. Non essendo più la coscienza critica del popolo bensì una parte integrante dell’ordine costituito seguono spontaneamente il vento del potere come palloncini colorati, beninteso ciascuno  con il proprio colore ma andando infine tutti insieme nella medesima direzione. Finché sulle “riforme” sussisteva l’accordo tra Renzi e Berlusconi non ci guardava dentro nessuno. Adesso che l’accordo non c’è più, e il centro-destra minaccia di guardarci dentro, subito i giornali e le tv che gli sono vicini hanno cominciato a mettersi sulla stessa lunghezza d’onda.

Chissà mai che sia l’occasione buona perché quanta più gente possibile si renda finalmente conto che le “riforme” di cui si parla non soltanto non risolveranno affatto i problemi del nostro Paese, ma anzi li aggraveranno. Le riforme non sono comunque buone a priori. Si può riformare in meglio, ma anche in peggio. E in ogni caso le riforme non sono “neutre”. Perciò ogni volta che si parla di riforme il popolo avrebbe, anzi ha in primo luogo il diritto di guardarci dentro, di capire a quale filosofia politica si ispirino, a quali obiettivi mirino, in quale misura li potranno raggiungere e con quali conseguenze. Senza ripetere qui quanto già scritto in precedenza (La Nuovabq, 22 gennaio, 16 giugno, 18 luglio 2014) diciamo in sintesi i motivi del nostro giudizio negativo sulle riforme, che Renzi ha avviato anche con l’appoggio di Berlusconi.

Invece che sul principio di fiducia e di responsabilità delle persone e dei territori (ovviamente accompagnato da efficienti meccanismi di sanzione di chi sgarra), la riforma costituzionale oggi all’esame del Parlamento si basa sull’idea dell’accentramento come mezzo per dirigere dall’alto per il suo bene un popolo di cui non si ha alcuna fiducia.  Si instaurano perciò meccanismi istituzionali che mirano non a premiare chi fa bene e punire chi fa male bensì a tenere tutti quanti per il collo, anche a costo di soffocare la società e l’economia, per essere più pronti a tirare subito il collo di chi sgarra. Di fronte alla complessità dell’economia e della società moderne è questo tra l’altro un  modello che non funziona più nemmeno là dove funzionava. E che poi si pensi di farlo funzionare in Italia con la sgangherata amministrazione statale che abbiamo è qualcosa di patetico.  L’unico risultato che ci si può attendere è un aumento ulteriore della burocratizzazione e quindi della pressione  fiscale.

La riforma della legge elettorale, per parte sua ha come unico obiettivo quello di garantire la formazione di governi stabili, anche a costo di  arrivare a Parlamenti non rappresentativi  della volontà popolare. L’errore sta nel fatto di non volere l’elezione popolare diretta del capo del governo. Per natura sua, il Parlamento è il luogo della rappresentanza degli interessi immediati dei cittadini e dei territori. Quindi nella condizione moderna, complessa e frastagliata, è difficile che in esso si formino delle maggioranze stabili. Nei casi in cui, come in Italia, si pretende che il Parlamento nomini e sostenga il governo allora occorre – assai poco democraticamente - deformare con meccanismi vari l’esito del voto del popolo in modo da far sorgere delle stabili maggioranze parlamentari che per natura non ci sarebbero. L’“Italicum” è l’ultima trovata del genere. La via più giusta e più democratica sarebbe un’altra, ossia quella dell’elezione popolare diretta del capo del governo.  In questo caso non sono le segreterie dei partiti, ma sono gli elettori che  quando votano per il capo del governo provvedono – come accade tra l’altro negli Stati Uniti - a fare una scelta di sintesi andando oltre quello sguardo ai loro interessi immediati e alle loro idee più specifiche da cui legittimamente si lasciano  guidare quando votano per scegliere il loro deputato e il loro senatore. Non si vede perché non si potrebbe fare lo stesso anche da noi.

Stando così le cose c’è il fondato rischio che, se le riforme di Renzi andranno in porto, si finisca per dover concludere che… si stava meglio quando si stava peggio.