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LA NUOVA BEATA

Guadalupe, la chimica che si stupiva delle cose di Dio

Sarà beatificata oggi la spagnola Guadalupe Ortiz (1916-1975), la prima laica dell’Opus Dei a salire agli onori degli altari, che realizzò la sua vocazione dopo l’incontro a 27 anni con san Josemaria Escrivá. Professoressa di chimica, amata dalle sue alunne, trasmetteva la bellezza della scienza vista con gli occhi della fede. Nelle piccole croci quotidiane trovava «molta più presenza di Dio» e diceva: «Questo mi dà molta gioia».

Ecclesia 18_05_2019

«Ogni giorno vedo più chiaramente quanto vicino mi è Gesù in tutti i momenti; le racconterei dettagli piccoli ma continui, che nemmeno mi stupiscono, ma li apprezzo e li aspetto costantemente…». Così scriveva nell’aprile 1946 Guadalupe Ortiz de Landázuri (12 dicembre 1916 - 16 luglio 1975) in una delle molte lettere a padre Josemaria Escrivá, il santo fondatore dell’Opus Dei, che in controtendenza all’ateismo dilagante del XX secolo ricordò e diffuse l’insegnamento che tutti siamo chiamati a santificarci nella vita ordinaria di ogni giorno, passando attraverso la santificazione del lavoro. Uno dei frutti più belli di questo carisma è proprio Guadalupe, ricercatrice e professoressa di chimica, che oggi - dopo il riconoscimento del primo miracolo attribuito alla sua intercessione (vedi qui) - sarà proclamata beata a Madrid, sua città natale, divenendo la prima laica dell’Opera a salire agli onori degli altari.

Ultima di quattro figli e unica femmina, nata nel giorno in cui la Chiesa celebra la Madonna di Guadalupe, ricevette un’educazione cristiana e nel 1933 si iscrisse alla facoltà di Chimica. Tre anni più tardi, durante la guerra civile spagnola (1936-1939), un fatto doloroso sconvolse la sua famiglia. Il padre, tenente colonnello dell’esercito, venne condannato a morte: il figlio Eduardo riuscì anche a ottenere l’indulto per il genitore, ma questi, poiché i suoi sottoposti erano comunque destinati alla fucilazione, rifiutò di essere liberato. Venne fucilato l’8 settembre 1936. Guadalupe, non ancora ventenne, aveva passato la notte precedente accanto al padre e, tempo dopo, dirà che «a lui devo la mia vocazione», mentre il fratello Eduardo, oggi Servo di Dio, testimonierà che quella notte era stata proprio la sorella a fare «coraggio con la sua serenità a mia madre e naturalmente a me».

Finita la guerra civile, poté laurearsi e iniziò a insegnare. Passarono pochi anni e, dopo una grazia ricevuta a Messa, capì che Dio le stava chiedendo di più. Alla fine della celebrazione incontrò un amico al quale domandò se conoscesse un buon sacerdote verso cui indirizzarla. Così, il 25 gennaio 1944, a 27 anni, avvenne l’incontro con padre Josemaria Escrivá, grazie al quale «mi caddero le squame dagli occhi». Seguì un ritiro spirituale e il 19 marzo chiese di essere ammessa come numeraria all’Opus Dei, dove le donne erano ancora poche. Si dedicò all’amministrazione domestica dei primi centri dell’Opera, cavandosela tra piccole e grandi cose, problemi organizzativi ed economici, ricorrendo continuamente all’aiuto di Dio: «Sento molto accanto a me il Signore, che, soprattutto, mi aiuta moltissimo a obbedire, rendendomi tutto quello che mi dicono facile e gradevole. Nell’orazione il tempo mi passa molto in fretta, e benché in realtà dica poche cose, non sono distratta, e sento che sono vicina a Lui» (lettera da Bilbao, 29 ottobre 1945).

Guadalupe andò realizzando l’importanza delle fatiche quotidiane consacrate al Signore: «Noto che grazie a queste piccole croci ho molta più presenza di Dio, e mi occupo ogni giorno meno di me. Questo mi dà molta gioia. Solo nell’oratorio vedo con molta chiarezza i miei difetti grandi, grandi, e faccio atti di umiltà, e smetto di preoccuparmi», scriveva ancora da Bilbao a padre Josemaria (11 novembre 1946). Il suo epistolario costituisce una grande ricchezza perché emerge proprio la lotta costante contro ciò che lei stessa definiva «amor proprio» e «vanità», che poi è la lotta comune a tutte le anime che cercano di avvicinarsi a Dio. A Madrid le venne affidata la direzione di Zurbarán, la prima residenza universitaria dell’Opera, dove conquistò con il suo carattere le studentesse che vi andavano ad abitare, contribuendo alla loro formazione umana e cristiana.

Padre Josemaria le chiese poi di recarsi in Messico per avviare anche lì l’apostolato tra le donne: «Partimmo da Madrid il 5 marzo 1950. Io ero la più grande, anche se molto giovane. Portavamo con noi solo la benedizione del Padre, l’amore al Signore e il nostro buon umore». Il lavoro svolto nei sei anni passati nel Paese centroamericano, per la cui buona riuscita aveva chiesto l’intercessione della Santa Vergine, fu enorme. Come testimoniò una persona che l’aveva conosciuta proprio in Messico: «Mi colpì il suo modo di pregare: si ‘metteva’ in Dio e stava molto raccolta. La si vedeva sempre allegra, contenta, col sorriso sulle labbra; andai scoprendo con la sua vita che cosa vuol dire darsi a Dio; era sorprendente il modo in cui viveva personalmente quello che diceva…».

Durante un viaggio a Roma, nell’ottobre 1956, scoprì di essere affetta da una malattia cardiaca, che diventerà la via per unirsi più pienamente a Gesù. Non poté più tornare in Messico e dovette operarsi. «Padre, il peggio è passato, e grazie a Dio e all’aiuto di tutti, sto molto bene. È stata una settimana di molto dolore fisico ma di molta consolazione morale. […] Ho cercato di comportarmi bene ed essere coraggiosa. La presenza di Dio fa meraviglie. Come si nota! Voglio tornare presto a servire», scriveva da una casa di cura madrilena nel luglio 1957. Per qualche tempo soggiornò a Roma aiutando padre Josemaria nel governo dell’Opera. Tornò quindi a Madrid dove completò brillantemente il dottorato in chimica, insegnò in due scuole e contribuì anche alla progettazione del Centro di studi e ricerche in scienze domestiche (Ceicid), divenendone vicedirettrice e insegnandovi chimica delle fibre tessili.

Nel suo lavoro da docente, fu capace di trasmettere la bellezza della scienza vista alla luce della fede. Come scrisse una sua alunna: «Per me è stata un’insegnante speciale che non potrò dimenticare mai. Aveva una grande personalità ed era una donna bellissima anche se vestiva con sobrietà, senza ornamenti superflui. Era di una grande semplicità; ci trattava molto bene, con comprensione e affetto. Perciò attorno a lei si creò un clima bellissimo. Ricordo che, dopo aver riempito la lavagna di formule chimiche, si voltava verso di noi e ci parlava di tutto quello che si poteva fare combinando i vari elementi chimici, facendoci vedere che tutto era un’impressionante manifestazione della diversità della Creazione; poi concludeva: pensate a come Dio fa le cose!».

I suoi problemi al cuore proseguirono, tra continue ricadute, che viveva in atto di offerta a Cristo Crocifisso. L’ultimo, delicato, intervento chirurgico lo subì l’1 luglio 1975. Come ricorderà il fratello Eduardo: «Fu informata dei pericoli che l’operazione comportava, ma li accettò senza titubanza pensando che così poteva essere più utile all’Opera. Ma se Dio vuole che perda la vita - diceva - andare in Cielo è ancora meglio». Quindici giorni più tardi, a seguito di complicazioni, Guadalupe raggiunse nella gloria lo Sposo eterno. Era il 16 luglio, festa della Madonna del Carmelo.


Per saperne di più:
La libertà di amare. Guadalupe Ortiz de Landázuri, di Cristina Abad Cadenas, Edizioni Ares, 2019