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FRANCESCO TRONCA

Grandi manovre romane, dall'Expo al prefetto di ferro

Ancora prima che l'Expo 2015 fosse assegnata a Milano, la stampa aveva iniziato a parlare di infiltrazioni mafiose. Dopo che il governo si è assicurato la gestione di Expo 2015, la mafia è "scomparsa". E adesso il prefetto Tronca, protagonista del "miracolo" di Milano, va a commissariare Roma.

Politica 01_11_2015
Francesco Paolo Tronca

Chiunque riesca a non farsi ogni volta assordare dagli squilli di tromba del momento non fatica a rendersi conto che una cosa è organizzare un’esposizione internazionale della durata di cinque mesi, su una superficie di un po’ più di cento ettari e una cosa è amministrare una città come Roma. Quindi tutto questo precipitarsi a indicare la gestione dell’Expo come modello per l’amministrazione del comune di Roma deve indurre a qualche salutare sospetto. E ciò tanto più se si considera come la saga dell’Expo di Milano, stretta al collo dalla mafia e poi salvata dal Cavaliere Bianco, abbia avuto da subito il sapore di una vicenda già scritta in dettaglio prima che accadesse. 

Chi ha seguito il caso dell’Expo 2015 sin dall’inizio, anzi sin da quando Milano era ancora in competizione con Smirne, semplicemente una delle due città candidate, non può non ricordarsi che la grande stampa, quella che fa e disfa la scena della vita pubblica del nostro Paese, cominciò a dire che la mafia aveva messo le mani sull’Expo quando i lavori di sistemazione dell’area espositiva, non soltanto non erano ancora iniziati, ma addirittura non erano nemmeno iniziate le gare di appalto. Alle forze politiche e sociali che in Lombardia si erano mobilitate perché l’Esposizione Universale del 2015 venisse assegnata a Milano con tale campagna di stampa veniva dato un “segnale” implicito, ma facilmente decifrabile: se non condividete questa impresa con il “Palazzo” romano guai a voi. Per dirla con gergo militare il segnale fu così forte e chiaro che a Milano nessuno osò non tenerne conto. O comunque nessuno fra coloro che potevano farlo si sentì di imbarcarsi in un’impresa del genere sapendo che difficilmente si sarebbe risparmiato qualche iscrizione nell’elenco degli indagati con annesso grande battage mediatico, di quelle che finiscono nel nulla dopo qualche anno dopo aver sconvolto la vita tua e della tua famiglia e magari dopo averti anche regalato qualche mese di “custodia cautelare”. Mangiata la foglia e fatto disciplinatamente posto a tutti i missi dominici che si presentavano alla porta, d’incanto tornò il sereno. Non solo la mafia scomparve per sempre dalla scena ma anche quando qualcuno anche abbastanza in alto si rese colpevole di qualche irregolarità, come è purtroppo inevitabile in circostanze del genere, la cosa venne risolta ricuperando per un attimo l’antico principio della responsabilità penale personale. Una storica conquista della civiltà giuridica occidentale che, nel caso di indagini e di processi di rilievo anche politico, è ormai quasi sparito dalla prassi giudiziaria del nostro Paese. 

A dare ulteriore spinta a questo sviluppo ha certamente contribuito il fatto che l’assegnazione dell’Expo 2015 a Milano era stata ottenuta da istituzioni allora per lo più di centrodestra, e che al momento della sua realizzazione a Roma governavano invece il Pd e Matteo Renzi. In certa misura però sarebbe avvenuto lo stesso anche se a Palazzo Chigi ci fosse stato Berlusconi. Sono dinamiche che, quale che sia il governo in carica, caratterizzano comunque le burocrazie centrali. In questo caso però sono state incoraggiate al massimo per motivi che non sono difficili da indovinare. Quando poi si è sentito un magistrato napoletano basato a Roma, scelto dall’attuale governo quale primo vessillifero dell’”anti-corruzione”, rispolverare l’antica rivendicazione, caduta in disuso anche in loco, del primato di Milano quale “capitale morale” del nostro Paese, qualunque eventuale dubbio su quanto stava per accadere venne meno. “Roma, commissario da Milano”, titolava ieri in prima pagina il Corriere della Sera annunciando che il prefetto Gabrielli aveva nominato commissario prefettizio al comune di Roma il suo collega Francesco Paolo Tronca, prefetto di Milano dal 2013. Tronca, palermitano, prendeva così il posto del sindaco Ignazio Marino, appena decaduto a seguito delle dimissioni di 26 consiglieri comunali capitolini. Di Tronca non si sente che parlare bene, ma è difficile immaginarsi, non foss’altro che per motivi cronologici, che sia un deus ex machina del proclamato successo di Expo 2015. Tuttavia il filo rosso (in fibra artificiale) che lega la sua nomina e il titolo del Corriere che l’annuncia alla sequenza di avvenimenti apertasi con la proclamazione di Milano capitale morale è chiara a chiunque.

La vicenda dimostra ancora una volta che Matteo Renzi è un personaggio da non prendere sotto gamba. Nella sua capacità di stringere o rispettivamente rompere patti con chiunque pur di far andare avanti il suo progetto, nella sua capacità di giocare su vari tavoli e fra l’altro nella sua capacità di giostrare con i prefetti, c’è qualcosa di giolittiano.  Cosa peraltro non strana per uno che punta a riportare l’Italia di oggi al centralismo e allo statalismo dell’Italia di Giolitti. Fare alternativa a un uomo del genere, o in ogni caso condizionarlo quanto basta per salvare la democrazia reale in tutta la misura del possibile, non è di certo cosa facile, ma è necessaria.