Grandi esempi di santità al Giubileo del 1600
Ascolta la versione audio dell'articolo
Il 31 dicembre 1599 papa Clemente VIII aprì la Porta Santa per il 12° Giubileo ordinario della storia cristiana e lui stesso fu un mirabile esempio per tutti. Per quell’Anno Santo brillò particolarmente la carità di san Camillo de Lellis e dei suoi Ministri degli Infermi.
Il 1600 aprì un nuovo secolo, quello del Barocco: fontane, giochi d’acqua, piazze e mirabolanti fuochi d’artificio, metafore ardite ed espressioni iperboliche furono modalità con cui artisti, poeti, urbanisti stupivano gli spettatori e i lettori. Scrisse Giambattista Marino, denominato «vero re del secolo» da Francesco de Sanctis, che «della poesia il fin è la meraviglia». Segnato dal degrado economico e politico dell’Italia, il Seicento non fu in realtà caratterizzato anche da un declino culturale e artistico. Pittura, scultura, architettura, musica, filosofia, scienza fecero risplendere il nome dell’Italia ancora per decenni.
Il 31 dicembre 1599 papa Clemente VIII aprì la Porta Santa, in ritardo rispetto ai precedenti Giubilei, perché era ammalato. Aveva pubblicato la bolla Annus Domini placabilis il 19 maggio 1599, seguita in ottobre da un’altra bolla in cui invitava tutti i vescovi cattolici a preparare il Giubileo. Eletto nel 1592, Clemente VIII aveva improntato il suo pontificato all’attuazione delle indicazioni offerte dal Concilio di Trento per la riforma della Chiesa. La sua condotta fu sobria, dedita alla penitenza e al digiuno. In tutti i modi cercò di favorire un Giubileo che fosse davvero occasione di conversione per i pellegrini: impedì l’aumento degli affitti, migliorò le condizioni igieniche di Roma attraverso la pulizia delle strade e la proibizione della circolazione delle bestie per la città, vietò le feste del Carnevale. Molte furono le conversioni di cui siamo venuti a conoscenza in quell’Anno Santo: si parla di quasi quattrocento persone.
Giunsero numerosi pellegrini da ogni parte d’Europa, anche da Paesi protestanti, un numero altissimo, non paragonabile a quello dei precedenti giubilei. Si parlò di tre milioni di visitatori, anche se è probabile che questo numero sia davvero esagerato rispetto alle cifre reali. Centinaia di confraternite offrirono il loro contributo per guidare i pellegrini: provenivano da Gubbio, L’Aquila, Perugia e tante altre città. Vennero istituite due commissioni di cardinali: una per affrontare i bisogni degli ecclesiastici, l’altra dei laici.
Lo stesso papa Clemente VIII fu un mirabile esempio per tutti: presenziò a ogni cerimonia, lavò spesso i piedi dei pellegrini, visitò sessanta volte le quattro basiliche, fece l’elemosina, servì quotidianamente alla sua mensa i poveri.
Era finita la grande stagione della letteratura italiana; anche Torquato Tasso era morto nel 1595, proprio a Roma dove attendeva di essere incoronato poeta. I quattro letterati giganti del Cinquecento, Machiavelli, Guicciardini, Ariosto e Tasso, erano entrati nel Pantheon dei classici. Nel 1600, proprio nell’anno giubilare, giunse a Roma Giambattista Marino che si recò per l’occasione fino a Loreto. Da quel momento il rapporto del poeta con la Città Eterna assunse un’importanza rilevante per alcuni anni.
Anche Caravaggio era a Roma durante quell’anno santo. Riuscì a terminare in tempo per l’anno giubilare due capolavori: la Vocazione di san Matteo e il Martirio di san Matteo. Il primo dipinto è opera totalmente rappresentativa del Giubileo e del suo significato: la luce della presenza di Dio nella storia e del suo intervento nel mondo irrompe nell’oscurità e attende solo la disponibilità dell’uomo a guardarla e ad arrendersi alla sua evidenza. La grazia di Dio può operare solo attraverso la nostra disponibilità ad accoglierla. Allo stesso modo, l’occasione del Giubileo è un avvenimento che necessita cuori in attesa di incontrare il volto buono del Padre celeste, come un uomo che mendica e si affida. Non cambierà il mondo, scrive Charles Péguy, per i nostri sforzi, ma per il nostro abbandono con fiducia al Padre, come un bambino (Il mistero dei santi innocenti).
San Filippo Neri era morto nel 1595. Ma non erano certo scomparsi il suo esempio e il suo insegnamento. Grazie a lui, dopo tante vicissitudini, san Camillo de Lellis (1550-1614), ripresi gli studi, fu ordinato sacerdote nel 1583. Tre anni più tardi papa Sisto V approvò la sua congregazione dei Ministri degli Infermi che ai tre tradizionali voti di castità, povertà e obbedienza affiancava anche un quarto voto: «la perpetua assistenza corporale e spirituale ai malati, ancorché appestati». Ognuno guardi al malato come alla persona di Cristo, si insegni più con le opere che con le parole: questo il carisma dei Camilliani, chiamati dal loro fondatore a seguire i malati «con l'affetto di una madre verso il suo unico figlio infermo». Più avanti, sul finire del XIX secolo, nacquero anche le Figlie di San Camillo.
Nel 1600, dodicesimo Giubileo, san Camillo e i suoi figli spirituali parteciparono al pellegrinaggio delle Sette Chiese e assistettero gli ammalati che incontrarono tra i pellegrini. Fu per tutti un esempio per gli uomini e uno spettacolo di carità. Ancora una volta, il popolo cristiano aveva davanti agli occhi volti di santi da guardare come esempio per trarre conforto dai loro discorsi, come già suggeriva la Didaché nei primi secoli.
Tasso e Borromeo al primo Giubileo dopo il Concilio di Trento
L'autore della Gerusalemme liberata era tra i pellegrini dell'Anno Santo 1575, che vide il santo arcivescovo di Milano incarnare in prima persona il cammino di rinnovamento e di purificazione intrapreso nella Chiesa post-tridentina.
1550, un Giubileo alla presenza di grandi santi e artisti
Paolo III, il Papa che indisse il Concilio di Trento, organizzò con ogni cura anche il Giubileo del 1550, a cui pure non poté partecipare perché nel frattempo deceduto. Presenti invece grandi artisti, in primis Michelangelo, e santi, come Filippo Neri e Ignazio di Loyola.