Governo: i mercati reggono, in barba agli allarmi
I primi mesi dell'esecutivo di Giorgia Meloni vedono segnali (positivi) in controtendenza rispetto alle cassandre che minacciavano l'isolamento economico e non solo, in caso di vittoria del centrodestra. Le borse non sono affatto crollate, le relazioni internazionali restano buone e inizia a venire a galla anche la verità sul Pnrr.
L’ultima campagna elettorale in vista delle elezioni del settembre scorso è stata dominata dagli allarmi legati alla possibile vittoria del centrodestra e, in particolare, di Giorgia Meloni. Campagne mediatiche sapientemente orchestrate miravano a delegittimare il Presidente del Consiglio in pectore, scavando nel suo passato, nella sua vita privata ed etichettandolo come sentimentalmente legato alla tradizione e alla cultura fasciste.
In questo modo speravano che gli elettori, intimoriti dallo spettro di una emarginazione internazionale dell’Italia, votassero per altri partiti. La martellante narrazione di quelle settimane era ricca di risibili ritornelli: “Se vince la Meloni, i nostalgici del fascismo torneranno in auge”, “Se la Meloni diventa premier, l’Italia verrà isolata in Europa”, “Una vittoria schiacchiante della Meloni innervosirebbe i mercati e lo spread potrebbe salire”. Collegata a questi slogan anche un’altra “leggenda”, quella di un Pnrr immodificabile in quanto ogni eventuale modifica avrebbe comportato lo slittamento dei tempi di raggiungimento degli obiettivi o addirittura la perdita delle risorse finanziarie concesse dall’Europa all’Italia.
Questi primi mesi di governo Meloni hanno smentito e stanno smentendo tutte le cassandre, i gufi e i detrattori del nuovo esecutivo, che si è trovato a fronteggiare una crisi energetica e un’inflazione galoppante e non ha potuto far altro che varare una manovra finanziaria largamente vincolata alle azioni di contrasto a queste due emergenze. Gran parte delle risorse contenute nella legge di bilancio sono state destinate (era inevitabile) alle bollette di luce e gas, che altrimenti sarebbero salite alle stelle e avrebbero costretto molte famiglie a indebitarsi. Il resto delle risorse sono state orientate alla crescita e al superamento di schemi assistenzialistici che il governo Draghi aveva consolidato anziché sradicare. Qualche timido segnale di ripresa economica, nonostante la congiuntura sfavorevole, s’intravvede. È evidente che soltanto nel tempo si potranno percepire i benefici effetti di politiche finalmente orientate a favorire i ceti più produttivi e in grado di generare occupazione e reddito, combattendo nel contempo le povertà più avvilenti, con un occhio alla meritocrazia e all’equità sociale.
Invece si registrano già segnali incoraggianti per quanto riguarda i mercati, che fin dalla vittoria elettorale del 25 settembre e anche dopo l'insediamento, nel mese di ottobre, del nuovo governo Meloni, hanno manifestato fiducia nei confronti dell’Italia. Le borse non sono affatto crollate, anzi si sono mostrate per lunghi tratti toniche e vivaci, a riprova del fatto che i catastrofisti anti-premier diffondevano veleni solo per ostacolare il cammino dell’esecutivo e non perché fossero realmente convinti di quei rischi. Peraltro le relazioni internazionali della Meloni, le sue prudenti e apprezzate uscite all’estero nei vertici europei e internazionali e il suo stile comunicativo sobrio e pacato le stanno procurando crescenti e autorevoli attestati di stima, che trovano peraltro riscontri nei sondaggi elettorali, alquanto lusinghieri per Fratelli d’Italia.
Anche sul Pnrr esistono concrete possibilità che la Meloni la spunti. Fin dalla campagna elettorale non aveva escluso ritocchi a quei progetti di rilancio post-Covid dell’economia nazionale e oggi ad essere possibilisti su quei ritocchi o addirittura ad auspicarli sono autorevoli personaggi delle istituzioni o studiosi che conoscono a fondo i contenuti dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea nei giorni scorsi a Palazzo Chigi ha incontrato la Meloni aprendo a una “implementazione del Pnrr”. Un libro appena uscito, dal titolo “Stato essenziale, società vitale. Appunti sussidiari per l’Italia che verrà”, scritto dal direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, Alberto Mingardi e dall’ex ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, spiega perché sia indispensabile rivedere il Pnrr, a beneficio di un pieno rilancio dell’economia italiana fondata su uno Stato efficiente e meno invadente che lasci sempre più spazio all’iniziativa privata.
«I nuovi decisori pubblici dovranno affrontare una stagione difficile che può tuttavia sollecitare il coraggio della discontinuità, la decisione di scatenare la società liberandola dai molti dei lacci che la opprimono», hanno scritto gli autori nell’introduzione al volume, denunciando un eccesso di statalismo anche nell’impostazione del Pnrr. «I fondi – scrivono i due – sono stati allocati secondo il consueto carattere dirigista, seguendo grosso modo l’antico metodo sovietico di formulare piani, stavolta sessennali anziché quinquennali, di intervento su tutti i settori dell’economia e della società, prevedendo ex ante tappe e scadenze trimestrali, come se fosse l’evoluzione sociale a doversi adattare ai diagrammi di Gantt di Bruxelles e non il contrario». Parole molto critiche, quindi, nei confronti dell’approccio seguito dai governi Conte 2 e Draghi.
«In questo contesto il Pnrr affronta i tanti problemi economici e sociali che sarebbe chiamato a risolvere con il rafforzamento delle strutture pubbliche esistenti o con la costituzione di nuove – argomentano gli autori nelle pagine del saggio –. Insomma, una vera e propria proliferazione di strutture di supporto e monitoraggio, “dalla cabina di regia alle strutture di missione centrali” e non solo, “con il contorno di enti e organismi tecnici, agenzie, società in house, tutte variamente incaricate di fornire assistenza tecnica all’arcipelago di soggetti attuatori, o svolgere una qualche forma di monitoraggio o controllo”. In pratica, “il trionfo dell’autoalimentazione burocratica”, solo “nominalmente intesa a semplificare”».
Lentamente, quindi, emergono le contraddizioni dell’azione dei precedenti governi, che hanno finito per frenare la ripartenza del nostro Paese anziché stimolarla. Hanno sbandierato ai quattro venti il successo del Pnrr, esibendolo come un trofeo di caccia, ma senza sfruttare realmente quell’opportunità di sostegno europeo. Ora la verità inizia a venire a galla.