Gli scaffali vuoti delle librerie
L’estate porta con sé una voglia maggiore di leggere. Però se uno si reca in una libreria qualsiasi, sugli scaffali mancano alcuni libri, come i capolavori contemporanei. Il passaggio di testimone da una generazione all'altra di grandi scrittore si è interrotto.
L’estate porta con sé i premi letterari e forse una voglia maggiore di leggere. Però se uno si reca in una libreria qualsiasi scopre che gli scaffali sono vuoti. Non vuoti di libri, ma vuoti di alcuni libri. Cioè mancano all’appello, ormai da anni, i capolavori contemporanei. E’ come se il passaggio di testimone da una generazione all’altra di grandi scrittori si sia interrotto. Oggi quello che difetta – con le dovute e ovvie eccezioni – non è tanto una mancanza di talento. Bensì ciò che è venuto meno sono le condizioni di esprimere il proprio talento. Spieghiamoci meglio.
Quale è il contenuto in genere della letteratura contemporanea italiana e straniera? Andando per cenni, si passa da amorazzi di serie B in contesti urbani alla denuncia di problemi e conflitti sociali (mafia, malaffare, rivoluzioni, storie di discriminazioni), dal racconto di vicende personalissime affogate nella banalità del quotidiano alla descrizione romanzata di episodi legati al Dopoguerra (gli epigoni di Elsa Morante sono un esercito). Il problema non sta a ben vedere nell’oggetto preso a tema dallo scrittore, cioè dall’elemento che serve da pretesto alla narrazione. James Joyce nel suo Ulisse raccontò una sola giornata, una giornata qualsiasi (il 16 Giugno 1904), di un gruppetto di abitanti di Dublino, ma ne trasse un epos di ampio respiro.
Il problema, dovendo sintetizzare, risiede nell’orizzonte narrativo, ciò a dire in quel paesaggio di valori e idee che dovrebbe celarsi dietro il morto ammazzato, la nevrosi della moglie e la lotta al nazi-fascismo. La letteratura contemporanea narra il particolare ma al fine di rimanere invischiata in esso, senza aprirsi all’universale (eccezione paradigmatica è Il Cavallo Rosso di Eugenio Corti). Non c’è, il più delle volte, uno sbocco alla speranza, a quegli assoluti dell’esistenza – amore non per forza erotico, generosità, sacrificio, il trascendente – che sono il nutrimento naturale e quindi ineludibile del cuore di ogni uomo. Il più delle volte le pagine dei libri di nuovo conio sono madidi di noia e nausea di sartriana memoria, anche per incapacità di cesellare una storia avvincente e non prevedibile. Non che questi temi, per una sorta di incomprensibile tabù, debbano rimanere esclusi dalla narrativa: in Delitto e Castigo di Dostoevsky il lettore sprofonda con il protagonista nel vortice dell’angoscia provocata dal duplice omicidio. Però - e qui sta l’aspetto patologico - depressione, frustrazione, disagio, insofferenza sono l’ultima parola dello scrittore che viene consegnata al lettore. Del male di vivere non esiste redenzione, incapace in alcun modo di essere nobilitato, riscattato e trasfigurato su un piano più alto. Si fotografa il reale per quello che è e mai si fa partorire il mistero che esso cela.
C’è anche un altro ostacolo oltre al contenuto e si tratta della forma. Se si apre a caso un romanzo preso anch’esso a caso in libreria pare che questo sia il risultato di una sommatoria di sms: i periodi sono brevi il tempo di uno sbadiglio, le subordinate sono ammesse in numero non superiore ad uno (il povero Proust oggi come al suo tempo non riuscirebbe a trovare un editore disposto a pubblicargli la sua Recherche), sono ostracizzati gli avverbi, gli aggettivi sono quelli degli spot in TV, la costruzione della frase si affloscia in una banale linearità, dritta e affascinante come l’Autostrada del Sole.
Dicevamo all’inizio che il talento forse c’è ma non può esprimersi. Questo accade proprio perché le case editrici impongono tacitamente gli stilemi prima accennati sia in merito al contenuto dei romanzi che per le modalità di scrittura degli stessi. Perché simili vincoli? La risposta è semplice: perché così si hanno maggiori possibilità di vendere. Oggi i Mann, i Dostoevsky, i Pirandello mai potrebbero pubblicare alcunché pur ovviamente adattando lo stile di scrittura alla sensibilità contemporanea. Più una storia è fruibile, semplice, diretta, più è facile per il lettore girare le pagine. Questo ovviamente va a discapito della profondità dell’opera. Infatti, e di contro, più un contenuto è alto più la forma narrativa si dovrà adattare ad esprimere il contenuto, risultando maggiormente articolata e meno direttamente fruibile. Dante per dire ciò che ha visto in Paradiso di certo non poteva usare espressioni prelevate dalla quotidianità. Ma l’esperienza comune ci insegna che più uno fatica in qualcosa più, in genere ma non sempre, ne trae godimento. Vendite comprese.