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EDITORIALE

Gli interessi degli Usa non sono i nostri

Per gli Usa in ritirata dallo scacchiere euro-mediterraneo basta mantenere in questa regione una instabilità controllata. Non così per l'Europa e soprattutto per l'Italia. Per questo è urgente che nella Ue si arrivi a definire una vera e propria politica estera comune. Da far pesare in Medio Oriente come in Ucraina.

Editoriali 12_09_2014
Barack Obama

Tutto quello che c’era da dire di critico su Renzi e il suo governo l’abbiamo detto, e per un momento lasciamo stare di dirne ancora. Per adesso (e forse ancora per parecchio tempo)  se casca lui al suo posto ci arriva Mario Draghi, ossia un proconsole dell’alta finanza americana temporaneamente distaccato in Europa. Stando così le cose, e finché le cose stanno così, è necessario  – diciamolo ancora una volta – “salvare il soldato Renzi”. Quindi per conseguenza salvare anche il soldato Mogherini. 

Questo è il quadro sul lato delle istituzioni. Andiamo a vedere adesso qual è il quadro sul terreno. Il primo punto da tenere presente è che gli Stati Uniti si stanno ritirando dallo scacchiere euro-mediterraneo. Perciò hanno innanzitutto cominciato a stare non più davanti ma dietro ai loro storici alleati europei. E come è buona regola per chi si ritira tendono a lasciare dietro di sé campi minati e ponti rotti. Siccome per definizione gli europei non possono ritirarsi dall’Europa ciò significa che il nostro interesse strategico e quello degli Stati Uniti non sono più coincidenti. E ciò vale in modo specifico per noi europei mediterranei, che per definizione non possiamo nemmeno ritirarci dal Mediterraneo.

Tra gli Usa e noi possono coincidere gli interessi tattici, e dobbiamo augurarci che coincidano ancora a lungo e in larga misura; ed è comunque irrevocabile la comune eredità culturale nel più ampio senso del termine. Il nostro e il loro interesse strategico invece, pur sovrapponendosi largamente, non coincidono più. Lo si vede benissimo nel caso delle due gravi crisi in corso alle nostre porte: quella della Siria/Iraq e quella dell'Ucraina. Sia nel bacino del Dniepr che nel Levante l’Europa è interessata ad avere non instabilità temperata da tregue bensì stabilità, pace e sviluppo. Agli Stati Uniti basta invece l’instabilità più o meno controllata. E i loro alleati atlantici nordeuropei sono pronti a dar loro man forte dentro l’Ue, peraltro senza rendersi conto che una cosa è fare da testa di ponte a qualcuno che avanza e un’altra è fare da punto d’imbarco a qualcuno che si ritira. 

In tale quadro diventa urgente arrivare in sede europea alla definizione di una vera e propria politica estera condivisa, ossia a qualcosa che non c’è, e che finora mai c’era stato. Non ci si può più permettere di non averla perché – come l’esperienza insegna – non avendola si lascia libero uno spazio che viene riempito dalla Nato. E pensare che la politica estera, ossia la diplomazia, sia nelle mani di un’alleanza militare è un pericoloso nonsenso. In secondo luogo le due crisi vanno affrontate congiuntamente essendo in entrambe la Russia un’importante parte in causa. È la controparte decisiva in Ucraina, ma anche una delle principali controparti in Siria.

Venendo al caso dell’Ucraina occorre garantire l’integrità territoriale di questo paese, ma senza pretendere che volti del tutto le spalle alla Russia. L’Ucraina è un paese-ponte, che va aiutato ma senza romperlo. Nel caso della Siria, dai cui sviluppi dipende anche la situazione del Nord Iraq, bisogna riconoscere che il tentativo di far cadere  Bashar Assad è fallito; occorre quindi, senza pretendere la sua uscita di scena, porre termine a una guerra civile disastrosa negoziando maggiori spazi per l’opposizione siriana non armata. In questa prospettiva pretendere di escludere l’Iran dai negoziati, come sin qui gli Usa hanno preteso, è assurdo. I negoziati possono giungere a risultati concreti soltanto se si fanno con tutte le parti in campo, e non solo con quelle che decidiamo noi. E si devono chiamare al tavolo delle trattative pure i paesi che, come il Qatar, finanziano occultamente le milizie islamiste, anche per metterli di fronte alle loro responsabilità.

Difficile? Certo, ma c’è forse qualche altra ragionevole alternativa? Forse per gli Stati Uniti, che stanno al di là dell’Atlantico, ma non per noi.