Giulia Cecchettin, un funerale rovinato da ideologia ed eccessi
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Il funerale di Giulia Cecchettin, la ragazza uccisa dall'ex fidanzato Filippo Turetta, si è trasformato in un evento politico nazionale. Accuse al patriarcato e ai maschi, lanciate anche dal padre.
Niente e nessuno potranno restituire all’affetto dei suoi cari la povera Giulia Cecchettin, uccisa dal suo ex fidanzato Filippo Turetta. Proprio per questo il buon senso imporrebbe sobrietà e pacatezza nella narrazione di un efferato episodio di violenza che rischia di lacerare ulteriormente la società e di alimentare contrasti tra i sessi e sul ruolo di famiglia e scuola nell’educazione delle nuove generazioni.
Indubbiamente la tragedia di Giulia è stata strumentalizzata per attaccare il Governo e per rilanciare vecchi slogan ideologici. La polemica sul patriarcato, che a detta di chi l’ha scatenata risulterebbe perfettamente incarnato dalla cultura di destra, rischia di allontanare la comprensione delle vere ragioni alla base di questi episodi di violenza e finisce per seminare odio anziché facilitare il dialogo tra uomo e donna, unico vero antidoto alla violenza verso il prossimo, a prescindere dal genere.
I media da questo punto di vista hanno amplificato l’ideologizzazione della vicenda, piegandosi completamente alla narrazione accreditata fin dall’inizio dalla sorella e dal padre di Giulia, osannati come eroi per aver subito esorcizzato il dolore offrendo una lettura pubblica e sistemica della loro tragedia.
Pur nel rispetto del loro immenso e inconsolabile dolore, non ci si può e non ci si deve esimere dalla sottolineatura di alcuni eccessi che hanno accompagnato il racconto mediatico della sparizione e del ritrovamento del cadavere di Giulia, fino ad arrivare alle altre tristi pagine di questa vicenda, compresi i funerali celebrati due giorni fa a Padova.
Sono sembrati funerali di Stato, alla presenza di circa 10mila persone. Perfino il Presidente Mattarella vi ha fatto cenno in un suo intervento pronunciato a quell’ora ma in altro contesto. Il rilievo mediatico dedicato alle esequie è sembrato davvero sproporzionato, soprattutto perché ha sminuito il dramma delle altre famiglie colpite da omicidi analoghi e perché ha contribuito a spettacolarizzare ogni emozione vissuta dai famigliari della vittima in quei momenti di sconforto e di abbattimento.
Questa degenerazione alimentata dai media ha finito anche per mettere tutti sullo stesso piano. Frasi riferite al genere maschile (“Noi uomini siamo tutti colpevoli”) hanno in qualche modo distolto l’attenzione dall’unico vero responsabile di quell’efferato delitto, Filippo Turetta, annullando le differenze tra i tantissimi uomini, la stragrande maggioranza, rispettosi della dignità delle donne e pronti ad accettare da loro un eventuale rifiuto, e quelli impreparati a gestire l’abbandono da parte del partner e in taluni casi inclini anche ad azioni violente.
Non è stata una bella pagina di giornalismo, non è stata neppure una bella prova quella offerta da tanti leader politici che hanno commentato la tragedia di Giulia con un’enfasi mai riservata a simili delitti avvenuti in passato. E allora che dire di Giulia Tramontano, la ventinovenne accoltellata con crudeltà soltanto un mese fa dal suo fidanzato mentre era incinta di 7 mesi e portava in grembo anche una nuova creatura? Non avrebbe meritato analoga attenzione dai cittadini e dai mezzi d’informazione? In verità, la drammatizzazione da parte della tv del dolore non è mancata neppure in quella circostanza, ma il circo mediatico che si è scatenato per Giulia Cecchettin non è in alcun modo paragonabile.
E allora non è sbagliato pensare che le reazioni dei famigliari di Giulia abbiano inciso sulla eccessiva rilevanza accordata alla narrazione di quel delitto, che ha un responsabile, Filippo Turetta, e non può in alcun modo essere considerato “un delitto di Stato” come qualcuno inopinatamente ha voluto far credere. L’assenza delle istituzioni è alla base di tante storture della nostra società, ma in questo caso non è possibile generalizzare e anzi bisogna fare in modo che l’assassino abbia la giusta punizione, anche come monito verso altri potenziali assassini.
Molti giornalisti hanno osannato Gino Cecchettin per il discorso fatto al funerale della figlia e anche per altre sue esternazioni delle ultime ore. In chiesa, di fronte al feretro della figlia, è tornato sui temi cari alla cultura femminista più radicale. «Il femminicidio - ha detto - è il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime di chi avrebbe dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette agli abusi fino a perdere la libertà prima di perdere la vita. Ci sono tante responsabilità ma quella educativa ci coinvolge tutti, la famiglia la scuola la società civile e il mondo dell'informazione». Poi l’affondo contro il genere maschile: «Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d'accordo, non aiuta ad abbattere le barriere».
Sul suo profilo Linkedin, poche ore dopo, il padre di Giulia ha annunciato che si concederà una pausa dalle sue attività professionali e valuterà un percorso di impegno civico. Entrerà in politica? Si candiderà? Non è detto, ma indubbiamente il tutto sa di accelerazione smodata, a poche ore dalla sepoltura della figlia. Per non parlare della sua concezione di perdono, che chiama addirittura in causa dogmi e assunti teologici: «Il perdono? È una cosa veramente difficile. Neanche Gesù ha perdonato i suoi carnefici, ha chiesto a Dio di farlo. Sarà difficile. Un conto è non provare rabbia, un conto è non provare ira. Il perdono è un passo superiore. Sarà difficile». Così ha risposto sul tema del perdono a Filippo Turetta.
Questa tragedia di Giulia verrà dunque ricordata anche per i suoi eccessi. Ci saranno altri momenti di sovraesposizione mediatica per i suoi famigliari, per esempio quando verrà conferita alla povera ragazza una laurea alla memoria, come annunciato dall’ateneo padovano nel quale studiava. Ma tutta questa enfasi scuote la società e può ritorcersi contro di essa perché è in grado di scatenare anche gesti di emulazione da parte di altri potenziali Turetta. E allora cali il sipario su questa vicenda e si spenga l’interruttore del sensazionalismo mediatico, che nulla aggiunge al diritto all’informazione dei cittadini e molti traumi provoca alle coscienze individuali e alla crescita della società.