Giovanni, il Vangelo dei primi tempi
John Robinson ha dedicato un approfondito studio al quarto Vangelo, dimostrando che è completamente indipendente dai sinottici e che va retrodatato a prima del 70 d.C.
La pubblicazione dal contenuto esplosivo Redating the New Testament del rev. John A. T. Robinson (vedi qui) fu seguita da un’altra monografia, questa volta dedicata al solo Vangelo di Giovanni. L’opera raccoglie il materiale che Robinson aveva preparato per le Bampton Lectures, un ciclo di conferenze annuali (divenute, più di recente, biennali), che vengono tenute all’Università di Oxford da un relatore scelto, su un importante tema teologico. Nel 1984, l’oratore designato era stato proprio Robinson, ma la morte lo colse poco prima. I testi che aveva preparato vennero raccolti e preparati per la pubblicazione da un suo “discpeolo, il Dr. J. F. Coakley.
Quest’ultimo volume, insieme ai capitoli ottavo e nono della prima pubblicazione, presenta con chiarezza l’esito della ricerca del vescovo anglicano sul cosiddetto corpus giovanneo. La sua tesi principale non è la priorità temporale del Vangelo di Giovanni – come il titolo potrebbe portare a pensare -, ma la sua “indipendenza” rispetto ai sinottici. Robinson rovescia la tesi diffusa, per cui la “scuola giovannea” avrebbe scritto il quarto Vangelo per completare i primi tre o per dare una profondità teologica che i primi tre non avrebbero. Le indicazioni storiche di Ireneo, Girolamo e Eusebio sulla lunga vita di Giovanni e sul fatto che il suo Vangelo sia stato l’ultimo ad essere scritto, ha condotto molti a saldare tra loro questi due dati, affermando che il Vangelo sarebbe stato pertanto il frutto della vecchiaia dell’Apostolo e della sua ipotetica “scuola”, proiettandolo così alla fine del I sec. o all’inizio del II. Un lungo tempo di gestazione sarebbe stato altresì necessario per sviluppare una così matura penetrazione teologica, non trascurando il fatto che, comunemente, i sinottici si collocherebbero tra il 70 e l’80 d.C.
Oltre al fatto che Robinson aveva già mostrato le ragioni per cui i Vangeli di Matteo, Marco e Luca sarebbero da retrodatare prima dell’anno 60 d.C., l’autore sostiene che Giovanni costruisca il suo Vangelo con elementi propri, indipendenti dalle fonti dei Sinottici, facendo notare come numerose caratteristiche del quarto Vangelo lo collochino sicuramente in Giudea prima dell’anno 70. Non solo si sente risuonare in questo Vangelo quel particolare contesto che ancora non aveva ammainato la bandiera di un’indipendenza politica messianica, ma emergono altre caratteristiche difficilmente collocabili dopo la distruzione del Tempio e al di fuori della Giudea: «il suo materiale sulla topografia di Gerusalemme, la sua conoscenza delle divisioni geografiche e psicologiche della Palestina prima della Guerra giudaica, e il suo utilizzo di metafore ed argomenti che risulterebbero “a mala pena comprensibili” al di fuori di un contesto squisitamente giudaico nel primissimo periodo» (Redating, 264).
Un altro aspetto del quarto Vangelo che colpisce è l’assenza di riferimenti ai gentili, se non per l’accenno ai Greci che vogliono vedere Gesù (cf. Gv 12, 20-21) e per la menzione di Pilato e dei soldati romani. Presenza che è invece certamente più marcata nei Sinottici, ed ancor più negli Atti. Questa assenza «presuppone un contesto in cui la concentrazione sulla presentazione di Gesù come la verità e la pienezza d’Israele era l’obiettivo totalizzante dell’apologetica cristiana» (Redating, 275). E in effetti il Vangelo di Giovanni è un incredibile intreccio di elementi storici e di significati simbolici, comprensibili a partire da un contesto impregnato di giudaismo. In effetti, numerosi studi – tra i quali ricordiamo Jewish Feastes anche the Gospel of John di Gale A. Yee, docente di Bibbia ebraica, nel Massachusetts, God dwells with us di Mary L. Coloe, docente di Nuovo Testamento e Alle sorgenti della fede in Terra Santa. Le feste ebraiche e il Messia, di Francesco G. Voltaggio, docente di Sacra Scrittura – hanno mostrato come il “Gesù di Giovanni” emerga proprio sulla base della comprensione di feste e aspetti rituali ebraici.
A Robinson non poteva sfuggire un altro dettaglio importantissimo. Nel capitolo quinto, narrando la guarigione dell’uomo malato da trentotto anni, l’evangelista descrive una piscina con cinque portici, chiamata in ebraico Betzatà o Bethesda. Il brano, oltre a sottolineare la fondatezza storica del quarto Vangelo, in quanto gli scavi archeologici hanno ritrovato proprio una piscina con questa “stravaganza” dei cinque portici, contiene un dettaglio straordinario. Mentre tutto il brano è narrato al passato, l’indicazione della piscina è posta al presente: «V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici» (Gv 5,2). Commenta Robinson: «La naturale deduzione [...] è che [l’autore] stia scrivendo, quando l’edificio che descrive era ancora in piedi» (Redating, 278), il che significa anteriormente al decisivo anno 70.
Questi dettagli, insieme a molti altri presenti solamente nel quarto Vangelo, come il riferimento al litostroto (cf. Gv 19, 13) – puntualmente tradotto in ebraico per i destinatari primari del suo Vangelo -, oppure l’annotazione dell’abbondanza delle acque a Ennòn, vicino a Salìm (cf. Gv 3,23), come anche la precisione nell’indicare le feste giudaiche ed i dettagli nel racconto della Passione, sono indicazioni «sufficientemente plausibili almeno per rendere utile l’approfondimento e la verifica dell’ipotesi che il quarto vangelo sia in grado riportarci indietro alla sorgente più di qualsiasi altro» (The Priority, 122). Insomma, un testimone oculare, che scrive altresì in un arco temporale non troppo distante dagli eventi narrati.
Ne era fermamente convinta anche Jacqueline Genot-Bismuth, che fu docente di Giudaismo antico e medievale e di Filosofia del Giudaismo all’Università di Parigi, particolarmente esperta del Giudaismo nell’epoca del secondo Tempio. Nella sua duplice pubblicazione - Un homme nommé Salut : genèse d’une hérésie à Jérusalem (1986) e Jérusalem ressuscitée : la Bible hébraïque et l’Évangile de Jean à l’épreuve de l’archéologie nouvelle (1992) -, ella documentava gli incredibili dettagli storici del quarto Vangelo e concludeva che occorresse prendere maggiormente in considerazione la “firma” di questo Vangelo : «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» (Gv 21, 24).