Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL COMPOSITORE

Giovanni Aldega, un musicista di talento ma poco liturgico

Fu tra i grandi protagonisti della musica sacra romana del XIX secolo. Il suo talento compositivo era notevole, ma non di rado inquinava la musica sacra con il linguaggio operistico, secondo una tendenza diffusa all’epoca. La sua figura lascia comunque spazio a delle riflessioni sull’oggi.

Cultura 31_12_2022

Oggi sono pressoché sconosciuti sia la musica sacra romana del XIX secolo che i suoi protagonisti. Vedi il nome, all’epoca famoso, di Giovanni Aldega (26 febbraio 1815 - 27 aprile 1862), di cui nell’anno che sta per finire ricorre il 160° anniversario della morte.

Purtroppo, il destino che riguarda Aldega coinvolge un po’ tutti coloro che hanno operato in quegli anni, e non si pensi che questo fu causato da ciò che è accaduto dopo il Concilio Vaticano II: già dagli inizi del Novecento questa sorta di damnatio memoriae fu implacabile e ciò fu dovuto ai movimenti riformistici, come il movimento liturgico, così come al cecilianesimo e all’impulso dato dal motu proprio di san Pio X, Tra le sollecitudini, del 22 novembre 1903. C’erano senz’altro molte ragioni per avere perplessità di questi musicisti, tra cui Aldega, non tanto per il valore della loro musica (che certamente non ha nulla a che fare con le sconcezze che ascoltiamo oggi) ma per la loro pertinenza liturgica.

Aldega fu soprattutto attivo nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove operò come maestro di cappella dal 1857 al 1862. Ma lavorò anche in altre chiese romane, come Sant’Ignazio, Santa Maria Maddalena e Santa Maria in Monserrato.

Alberto Pironti, che ha curato la voce a lui dedicata sulla Treccani, dice che l’Aldega era molto noto al suo tempo e che lui, come altri, immetteva nelle sue composizioni sacre il linguaggio operistico, linguaggio che la faceva da padrone in Italia e non solo: «Nel salmo Laudate pueri a tre cori, che si eseguiva tutti gli anni il 21 giugno nella chiesa di S. Ignazio per la festa di s. Luigi, la durata del solo primo versetto era di ben quindici minuti, mentre l'intero salmo durava cinquanta minuti: i quattro solisti che cominciavano a cantare il salmo erano, a metà di questo, sostituiti da altri quattro, perché, a causa della tessitura eccessivamente alta, sarebbe stato per loro troppo faticoso arrivare alla fine. Un'altra composizione dell'A., un Vespero, durava due ore e mezza».

Certamente l’Aldega piegò la sua pur notevole tecnica al linguaggio operistico in modo forse anche più evidente che per altri autori suoi contemporanei. Questo lo possiamo osservare anche per quello che riguarda la musica organistica, con nomi significativi come quelli di padre Davide da Bergamo (1791-1863), Giovanni Morandi (1777-1856) o padre Pier Battista da Falconara (1844-1915). Purtroppo il rito liturgico era sacrificato ai virtuosismi di un linguaggio musicale che non si confaceva alla liturgia e quindi al culto di Dio, sebbene appunto dal punto di vista tecnico della composizione questi musicisti fossero ferratissimi.

Comunque, al tempo la Chiesa cercava di offrire il meglio - o quello che si credeva, anche se erroneamente, il meglio - della produzione musicale del periodo. Questo ci fa riflettere, perché significa che la Chiesa investiva nella bellezza, non come oggi, quando ci dobbiamo accontentare di prodotti di terza mano della musica commerciale. Inoltre, la concezione del tempo era ovviamente diversa rispetto alla nostra. Noi siamo nell’epoca della fretta e difficilmente potremmo considerare di stare in chiesa per due ore e mezza per un Vespro. Può suonare irriverente ma è una realtà.

Il problema dell’aderenza alle esigenze della liturgia non va certamente sottovalutato. La musica in chiesa è per la liturgia; e fu proprio in tempi di grande liturgia che avemmo una grande musica sacra e viceversa. Nella rivista Musica Sacra, nel numero 2 del 1894, parlando dei confini fra espressione personale e aderenza liturgica, si leggeva: «Ma quel “droit d’expression personelle” non lo posso inghiottire davvero, perché è qualche cosa di ben altro che il diritto del musicista di esprimere i concetti proprii, pur mantenendosi ligio alle prescrizioni della Chiesa ed ai canoni liturgici. Gounod ha avuto il torto di dichiarare il suo pensiero con due similitudini che fanno davvero pensar male. La prima è quella del passaggio dalle voci alla novità dell'organo, la seconda è quella del passaggio dall’organo all'orchestra. [...] Né io so poi come col diritto di espressione personale, inteso a questo modo, si potrebbe, a mo’ d’esempio biasimare Aldega d'avere scritto come ha scritto» (firmato con lo pseudonimo di Bonus vir).

Insomma, la critica alla musica di Aldega in nome della giusta considerazione della liturgia era viva anche pochi decenni dopo la sua morte. Eppure, nel 1848, come informa il quotidiano Le Nouvelliste, fu ricevuto dal beato Pio IX che accettò in omaggio una composizione del musicista offrendo il suo plauso. Comunque, possiamo anche ascoltare qualcosa della sua produzione: in una storica registrazione del Domine salvum fac, interpretato da Alessandro Moreschi, possiamo ascoltare le tipiche inflessioni operistiche della sua musica e notare il suo notevole talento compositivo.

Alcuni suoi lavori più semplici potrebbero ancora forse trovare un posto nella liturgia, mentre quelli più elaborati andrebbero riservati ai concerti. Questo sarebbe importante per permettere di riscoprire un musicista comunque interessante e che ha dedicato tutta la sua vita alla musica sacra.