Giornata per la vita. Gli Usa tornano a celebrarla
Introdotta per la prima volta da Reagan il 22 gennaio 1984, la Giornata Nazionale per la Vita fa da contraltare all'anniversario della sentenza Roe vs. Wade che legalizzò l'aborto nel 1973. Tutti i presidenti repubblicani l'hanno celebrata, i democratici l'hanno ignorata. Trump l'ha ripristinata dopo la lunga vacanza nell'era Obama.
Ieri, 22 gennaio, negli Stati Uniti è stata celebrata la Giornata nazionale della sacralità della vita umana. Significa che gli Stati Uniti in quanto comunità politica, cioè le sue istituzioni, il suo governo, lo Stato federale per intero, si sono piegati a riconoscere un fatto semplice, basilare e perfettamente laico: la vita umana è sacra. Lo è in quanto tale, prima e oltre ogni aggettivo e ogni azione l’uomo possa commettere. La vita non si appartiene, è indisponibile, è iniziativa di altro da sé. Ieri gli Stati Uniti lo hanno proclamato anzitutto a se stessi e quindi al mondo intero.
A indire la Giornata nazionale della sacralità della vita umana è stato il presidente Donald J. Trump in un momento di quella politica bella una volta tanto per davvero. Lo ha fatto con un decreto solenne e in una data non casuale, il 19 gennaio, giorno in cui a Washington si è svolta la 45a Marcia per la Vita, la madre di tutte le marce per la vita, durante la quale, per la prima volta, il presidente si è collegato in diretta video con i manifestanti dicendo loro che la Casa Bianca c’è, che farà il proprio dovere per combattere l’aborto e che parlare di Dio o dell’intangibilità della vita dal vertice delle istituzioni è cosa perfettamente laica, matura, libera e intelligente. Ai partecipanti cattolici i vescovi americani hanno pure concesso l’indulgenza plenaria, un’altra prima volta assoluta.
Nemmeno la data di ieri, 22 gennaio, è stata scelta a casaccio. È l’anniversario del giorno in cui, nel 1973, gli Stati Uniti legalizzarono l’aborto attraverso un colpo di mano della Corte Suprema federale che da allora a oggi ha provocato 60 milioni di vittime. Per difetto: perché le statistiche sono stilate in base ai rapporti che gli Stati componenti l’Unione nordamericana presentano volontariamente ogni anno e - ricorda a La nuova Bussola Quotidiana Austin Ruse, presidente del Center for Family and Human Rights di New York e Washington, nonché membro del comitato cattolico d’indirizzo istituito da Trump a fine 2016 - la California, che è la California, i propri numeri li tiene stretti per sé.
L’iniziativa di fare del 22 gennaio la data in cui le istituzioni statunitensi piegano il ginocchio davanti alla vita fu del presidente Ronald Reagan (1911-2004), che la lanciò nel 1984. È un proclama con validità annuale, e va o andrebbe riconfermato ogni anno. Con i presidenti Repubblicani scelti dal popolo americano da allora in poi, George Bush padre e George Bush figlio, la decisione è stata annualmente confermata, ma non con i presidenti Democratici, Bill Clinton e Barack Obama. Non solo dunque Clinton e Obama hanno appoggiato l’aborto, ma, messi di fronte alla scelta se salutare ufficialmente la vita umana, hanno rifiutato. Potrebbe sembrare ovvio: dato che sono filoabortisti, perché mai avrebbero dovuto compiere un gesto del genere? Ma non è così. Rifiutarsi di ripetere l’atto di governo istituito da Reagan significa giudicare la vita profana, disponibile alle voglie del primo che passa, manipolabile in tutto. In sintesi si potrebbe anche restare favorevoli all’aborto, ma quantomeno riconoscere che la vita umana è un bene in sé. Invece no. Clinton e Obama hanno dimostrato di pensare che la vita non valga nulla, sia fungibile, sia sacrificabile. Il delitto di aborto, certo, ma in più tutto il resto: la vita umana alla mercé totale di chi ha il potere per farne quel che vuole. Uno scandalo assoluto.
L’anno scorso, 2017, anche Trump non proclamò il 22 gennaio Giornata nazionale della sacralità della vita umana. Era in carica da due giorni. Fece però due cose equipollenti: mandò il vicepresidente Mike Pence a rappresentare la Casa Bianca alla Marcia per la Vita svoltasi a Washington il 27 gennaio (e anche quella fu una prima volta assoluta e impegnativa) e prim’ancora, il giorno seguente il fatidico 22 gennaio, reintrodusse la cosiddetta “Mexico City Policy”, la decisione presa durante la Conferenza internazionale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sulla popolazione svoltasi nella capitale messicana dal 6 al 14 agosto 1984 con cui sempre Reagan sospese gli aiuti federali statunitensi ai Paesi stranieri le cui leggi prevedano l’aborto, estendendo la legge ‒ sempre di validità annuale ‒ che negli Stati Uniti vieta di finanziare l’aborto con fondi pubblici. Pure questa è una legge annuale, e pure questa è stata ignorata da Clinton e da Obama per essere invece ribadita dai Bush padre e figlio. Quanto a Trump, rivolerla l’anno scorso è stato il suo primo atto legislativo, di quelli cioè che di tutte le azioni presidenziali disponibili sul sito della Casa Bianca vengono raggruppate alla voce “Laws & Justice”.
Reagan: è stato lui il primo presidente a impegnare tanto solennemente gli Stati Uniti a favore del diritto alla vita, e il 1984 in cui fece così tanto per la vita umana, lasciando ai propri successori decidere come essere uno a uno ricordati, fu un vero anno di grazia. Fu allora che per la prima volta un presidente degli Stati Uniti in carica prese carta e penna per scrivere un articolo antiabortista e inviarlo a un periodico di settore. Sulle sue orme, Trump ha preso analogamente carta e penna e ha onorato la terribile data del 19 gennaio americano «[...] per affermare la verità che ogni vita è sacra, che ogni persona ha una dignità e un valore intrinseci e che nessuna classe di persone potrà mai essere bollata come “non umana” e per questo scartata». E questo perché «il rispetto per ogni vita umana, uno dei valori per cui combatterono i nostri Padri fondatori, definisce il carattere del nostro Paese».