Giorgia Meloni e quegli imbarazzi per le gaffe dei suoi fedelissimi
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Giorgia Meloni risponde per tre ore alle domande dei giornalisti. Imbarazzo per una classe dirigente non all'altezza (vedi caso Pozzolo), l'ombra del familismo. Ma molto decisionismo.
Dopo due rinvii dovuti a motivi di salute, il Presidente del consiglio ha tenuto ieri la tradizionale conferenza stampa di fine anno, che in questo caso è diventata di inizio del nuovo anno. Una chiacchierata a 360 gradi su tutti i temi di maggior interesse che riguardano la politica, l’economia, la società. Giorgia Meloni ha sicuramente ben figurato, tenendo botta anche ai giornalisti che le hanno posto domande volutamente insidiose, ma ha mostrato più di qualche imbarazzo quando le è stato chiesto di parlare delle ripetute gaffe di esponenti del suo partito.
Inevitabile che venisse pungolata sul caso Pozzolo-pistola. Su questo è stata perentoria: «Io ho chiesto che Pozzolo venga deferito alla commissione dei probiviri di Fdi indipendentemente dal lavoro che fa l'autorità competente e che nelle more del giudizio sia sospeso da Fdi». E ha aggiunto: «Il parlamentare Pozzolo dispone di un porto d'armi per difesa personale non so perché ce l'ha ma non va chiesto a me, ma all'autorità competente. Girava con un’arma a Capodanno, presumo che a chi ha un porto d'armi capiti di portare un’arma, ma la questione è un'altra: chiunque detenga un’arma ha il dovere legale e morale di custodire quell'arma con responsabilità e serietà. E per questo c'è un problema con quanto accaduto perché quello che è successo, non conosco la dinamica, dimostra che qualcuno non è stato responsabile e chi non lo è stato è quello che detiene l'arma. Vale per qualsiasi cittadino, figuriamoci per un parlamentare, figuriamoci per uno di Fdi».
Poi ha chiaramente lasciato intendere che non si fida più di tanto di molti esponenti del suo partito, anzi lascia trapelare delusione per i loro comportamenti: «Sulla classe dirigente del mio partito, c'è sempre qualcuno che non ti aspettavi e fa errori o cose sbagliate. Però non sono disposta a fare questa vita se persone intorno a me non sentono la responsabilità. Non sempre accade ma per la responsabilità che abbiamo, e io vivo quella responsabilità, su questo intendo essere rigida».
Ma se è vero che molti suoi fedelissimi che ricoprono ruoli di primo piano la stanno deludendo, appare inevitabile che finisca per fidarsi solo dei famigliari e del suo cerchio magico. Di qui l’accusa di familismo, che però lei ha rispedito al mittente: «L’accusa continua di familismo che viene rivolta al partito però inizia a stufarmi. Ci sono coniugi in Parlamento, tutti a sinistra. Non ho mai sentito accuse di familismo. Ed è giusto così. Ho rispetto della militanza politica. Mia sorella, dirigente, è militante da 30 anni».
In effetti sul familismo nessuno è senza peccato e nessuno quindi può scagliare la prima pietra, però è normale che a risaltare maggiormente siano i legami famigliari di chi sta al governo. Ecco perché affidare le chiavi del tesseramento di Fratelli d’Italia, primo partito nel Paese, alla sorella Arianna non è stata una grande mossa.
Nella conferenza stampa di ieri, Giorgia Meloni ha risposto a 42 domande dei giornalisti in circa tre ore. Sui rapporti con l’Ue e i presunti diktat di Bruxelles è stata molto netta: «Io penso che qualcuno in questa nazione abbia pensato di poter dare le carte, ma in uno Stato normale non ci sono condizionamenti, l'ho visto accadere e non dico di più. Vedo degli attacchi e pensano che ti spaventi se non fai quello che vogliono, ma io non sono una che si spaventa facilmente, preferisco 100 volte andare a casa, hanno a che fare con la persona sbagliata. Ci sono quelli che pensano che possono indirizzare le scelte, ma con me non funziona, io sono il premier e le faccio io, me ne assumo la responsabilità».
Equilibrata sul rapporto tra giustizia e magistratura, anche se ha biasimato il comportamento della sinistra che tace sul caso Degni (magistrato della Corte dei Conti che si è esposto sui social contro la manovra di bilancio approvata in Parlamento la settimana scorsa), la Meloni non è stata reticente sul caso Verdini-Anas, ma ha scagionato il vicepremier Matteo Salvini: «Penso - ha detto - che sulla questione bisogna attendere il lavoro della Magistratura, gli sviluppi, se necessario commentare quelli e non i teoremi. Da quello che ho letto le intercettazioni fanno riferimento al precedente governo, Salvini non è chiamato in causa e ritengo che non debba intervenire in Aula su questa materia».
Ha fatto sapere di non aver ancora deciso se candidarsi alle elezioni europee, ha escluso un rimpasto di governo, ha confermato l’impegno per «la messa a terra del nuovo Pnrr che dovrebbe arrivare nelle prossime settimane». Ha ricordato che Mario Draghi si è dichiarato indisponibile per la poltrona di presidente della Commissione Ue e ha tacciato il Mes di essere ormai uno strumento superato («Forse la mancata ratifica da parte dell'Italia può diventare un'occasione per trasformarlo in qualcosa di più efficace»).
Il premier ha poi difeso la riforma del premierato e ha negato di temere il referendum confermativo: «Non vedo in cosa, l'elezione diretta del capo del governo significhi togliere potere al Capo dello Stato e visto che noi abbiamo scelto di non toccare i poteri del Capo dello Stato. Si crea secondo me un equilibrio che è un buon equilibrio, si rafforza la stabilità dei governi. Questo non è un referendum sul governo o su Giorgia Meloni, ma su cosa deve accadere dopo. Il referendum sul premierato non è su di me, io sono il presente di questa nazione, ma è sul futuro di questa nazione. Io ho fatto quello che era scritto nel programma, spero che si possa avere una maggioranza in Parlamento, non sono molto ottimista, sono franca, ma se non ci sarà lo chiederemo agli italiani, ma non è un referendum su Giorgia Meloni».
Infine il tema bavaglio alla stampa e le critiche piovute addosso al governo sull’emendamento Costa. Giorgia Meloni ha chiarito che non c’è nessun bavaglio e che anzi la norma realizza un equilibrio tra diritto all’informazione e diritto alla difesa del cittadino.
Nel 2024 il governo è atteso da prove importanti che metteranno a dura prova la sua stabilità e unità. Basterà il decisionismo del premier per frenare le prevedibili spinte centrifughe e destabilizzanti?