Giobbe, l'uomo religioso sfida la modernità
Un dramma teatrale di Fabrice Hadjadj propone la figura di Giobbe, l’uomo religioso di ogni tempo e, ancor più, quello contemporaneo che percepisce che siamo rapporto con quel Tu che ci ha dato e ci dà la vita continuamente.
«Nel Libro di Giobbe […] Satana chiede a Dio la facoltà di colpire Giobbe. Il diavolo – il calunniatore di Dio e degli uomini – vuole con ciò provare che non esiste una vera religiosità, ma che nell'uomo tutto mira sempre e soltanto all'utilità. Nel caso di Giobbe, Dio concede a Satana la libertà richiesta proprio per poter con ciò difendere la sua creatura, l'uomo, e se stesso. E così avviene anche con i discepoli di Gesù – Dio dà una certa libertà a Satana in tutti i tempi. A noi tante volte sembra che Dio lasci a Satana troppa libertà; che gli conceda la facoltà di scuoterci in modo troppo terribile; e che questo superi le nostre forze e ci opprima troppo. Sempre di nuovo grideremo a Dio: Ahimè, guarda la miseria dei tuoi discepoli, deh, proteggici! Infatti Gesù continua: "Io ho pregato, che non venga meno la tua fede" (Lc 22, 32). La preghiera di Gesù è il limite posto al potere del maligno» (omelia di Papa Benedetto XVI 8-3-2013).
Rappresentato parzialmente in lingua originale il 25 marzo del 2011 nel contesto della manifestazione culturale «Il Collegio dei Gentili» e per la prima volta in lingua italiana al Meeting di Rimini del 2011, il dramma teatrale Giobbe o la tortura dagli amici di Fabrice Hadjadj è diviso in dodici scene. Se il Faust di Goethe rappresenta l’eroe della modernità che ad ogni costo mira al raggiungimento dei suoi obiettivi, anche svincolato dal vincolo di amicizia con Dio, Giobbe incarna l’uomo religioso di ogni tempo e, ancor più, quello contemporaneo che non si arrende agli insulti che l’intemperie culturale odierna gli infligge, ma, anzi, di fronte al tentativo di molti di recidere i ponti col Mistero percepisce chiaramente che siamo rapporto con quel Tu che ci ha dato e ci dà la vita continuamente.
È quel Dio che apre la prima scena con una professione d’amore per ciascun suo figlio nella sua individualità: «Sotto il mio sguardo gli esseri non possono aggregarsi in quella forma indistinta e compatta che chiamano “folla”, “massa”, “platea”, “uditorio” […]. Io sono terribilmente miope e dunque devo stare molto vicino a ognuno, tanto che possa sentire il mio alito sul collo […]. Io conosco ognuno che assiste come il mio respiro, come il mio unico figlio».
Nella seconda scena il diavolo appare di fronte a Dio. Dopo aver scatenato contro Giobbe i suoi nemici (la miseria, il dolore, …), Gli chiede di poter scatenare i suoi amici, «come la sola muta capace di mangiargli il cuore».
Gli amici di Giobbe rappresentano diversi aspetti della contemporaneità: Elifaz (scena IV) è la convinzione che l’anima appartenga allo spirito del mondo, alla Natura (si avvertono in lui le tendenze naturalistiche, panteistiche di impronta New age); la moglie (scena V) invitando il marito a mettere da parte malattia e sofferenza con una puntura incarna la tentazione dell’eutanasia; Bildad (scena VI) è la deriva nichilista odierna che non crede in un senso e una causa, ma solo nella casualità; Zophar (scena VII) sostiene che la sofferenza e il dolore siano il debito che noi dobbiamo sanare con Dio, ma Giobbe non vuole un Dio commercialista, bensì un Dio salvatore, che perdoni i peccati; la ragazza (scena VIII) simboleggia l’edonismo e l’erotismo che non possono far scordare il dolore di Giobbe e ridargli i due figli perduti; Elihu (scena 9) professa la fede finché non si ammala e vacilla.
Tutti questi personaggi si presentano a Giobbe, dicono la loro visione, danno il loro consiglio, ma non si fanno compagnia, non sono una presenza, l’unica cosa che Giobbe desidera e aspetta.
Satana stesso (scena 10) si presenta come il miglior amico di Giobbe: «Da tempo, mio caro Giobbe, da tanto tempo. Io sono in qualche modo il migliore dei tuoi amici. Ti ho fatto da scorta sin dalla più tenera infanzia. Se tu avessi un profilo su Faccia-di-becco – voglio dire Facebook, mi avresti già ritrovato ed io avrei moltiplicato i “mi piace” sulla tua bacheca».
Ma Giobbe (scena 11) parla ancora con gioia, desidera ancora una felicità piena, anela ancora a quel Tu grazie al quale percepisce la tristezza e l’assenza: «Qui e ora […] gioia ti attendo». Anche la tentazione di Satana (scena 12) è l’occasione per la santificazione di Giobbe e per il riconoscimento della presenza di Dio nella vita (la fede).
Come scrive Giovanni Testori: «Dopo la passione di Cristo e dopo la sua resurrezione, il dolore dell’uomo non è più un dolore cieco, un dolore muto, un dolore demente, folle e disperato; bensì un dolore che conduce l’uomo nel grembo stesso della sua speranza; è dunque un dolore che conduce l’uomo a raggiungere il senso primo ed ultimo della sua vita. È dunque un dolore santo, […] un dolore, ecco, felice».
Fabrice Hadjadj, Giobbe o la tortura dagli amici, Marietti 1820, 2101, Euro 8.50