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IL BELLO DELLA LITURGIA

Gesù e il centurione, la fede è riconoscere una Presenza

È custodita al Museo del Prado la tela realizzata nel 1571 dal Veronese, che deve essere rimasto commosso, prima ancora che ispirato, dall’episodio dell’incontro di Gesù con il centurione. Al centro della composizione ci sono le imploranti braccia del militare romano, il cui impeto nel gettarsi ai piedi del Signore è proprio di colui che si scopre al cospetto di un’eccezionale Presenza.

Cultura 27_06_2020

Paolo Caliari, detto il Veronese, Cristo e il Centurione, Madrid - Museo del Prado

«Va’, avvenga per te come hai creduto» (Mt 8, 13)


«Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito». (Mt 8, 8) Le parole pronunciate dal centurione di Cafarnao, di cui raccontano Luca e Matteo, trasformate in preghiera dalla liturgia eucaristica, devono avere commosso, prima ancora che ispirato, il pittore veneto Paolo Caliari, meglio noto come il Veronese, che ritornò frequentemente su questo stesso soggetto. Lo riprodusse su almeno nove tele: quella conservata al museo del Prado di Madrid, realizzata nel 1571 per casa Contarini di Padova, è l’unica autografa.

Il pittore sceglie di rappresentare un miracolo che fisicamente accade altrove, cimentandosi nell’impresa di rendere visibile ciò che non lo è. Sulla scena, affollata da personaggi vestiti con abiti moderni, sullo sfondo di una bellissima architettura di probabile derivazione palladiana, l’unico che manca, infatti, è proprio il servitore malato che - lo sappiamo - si salverà per la fede del suo padrone. Solo apparentemente l’immagine ci appare come un teatrale e scenografico racconto dell’episodio evangelico: Veronese, esprimendosi col suo inconfondibile stile, coglie, di quel momento, la drammatica religiosità.

Gesù e il centurione sono l’uno di fronte all’altro. Non sono soli: Cristo è accompagnato dai discepoli che sembrano quasi volerlo trattenere dal rivolgersi al militare romano, in cui vedono solo un uomo pagano. E, invece, Lui si volta per ascoltarne la supplica ed esaudirne la preghiera. Lo dimostra il Suo luminoso sguardo attento e amorevole e il gesto rassicurante del braccio sinistro che indica al questuante la direzione del luogo in cui si sta compiendo la miracolosa guarigione.

Al centro della composizione ci sono le imploranti braccia spalancate del capo della centuria, un personaggio importante nel contesto sociale della sua epoca, tanto che le guardie che lo affiancano non si capacitano di vederlo umilmente inginocchiarsi davanti a Gesù e cercano di farlo rialzare. Egli invece, ha deposto la spada e affidato l’elmo al piccolo fanciullo lì accanto, che diventa involontario testimone di un inaspettato avvenimento.

L’impeto con cui il centurione si getta ai piedi del Signore è proprio solamente di colui che si scopre al cospetto di un’eccezionale Presenza e la riconosce. Veronese, dunque, si lascia iconograficamente sedurre non dalla potenza del miracolo, bensì dalla bellezza di una fede - di cui, dice Cristo, non c’è in Israele altro comparabile esempio - che è l’unica, indispensabile premessa affinché quel miracolo si compia e la domanda dell’uomo trovi, infine, la sua più compiuta risposta.