George che vuole essere Melissa. Piccoli trans crescono
Alex Gino, scrittore newyorkese si autodefinisce genderqueer e per capire chi diamine sono i genderqueer basta guardare la sua foto. Gino ha scritto il racconto George, un classico nella letteratura gender per l'infanzia. C’è un bambino che si sente bambina e alla fine lo diventerà. In Italia il libro è pubblicato da Mondadori.
Se ci fosse il Cobas dei personaggi delle fiabe, Cappuccetto Rosso, Biancaneve e Cenerentola scenderebbero subito in piazza dopo aver letto il racconto per l’infanzia George, partorito dal newyorkese Alex Gino. Mr. Gino si autodefinisce genderqueer e per capire chi diamine sono i genderqueer basta dare un’occhiata alla foto che qui riproduciamo. Il canovaccio seguito da Gino è ormai un classico nella letteratura gender per l’infanzia. C’è un bambino che si sente bambina, gli altri lo deridono, ma poi trova qualcuno – un amico, un parente, etc. – che lo accetta così come è e da quel momento in poi il piccolo trans camminerà a testa alta fiero della sua diversità.
Questo plot declinato nel libro George si traduce nella seguente trama. George, di anni 10 e all’anagrafe nato maschio, vuole essere una femmina e così si autobattezza Melissa. Legge riviste per donne e si veste da femminuccia, il tutto di nascosto perché gli altri – compagni, genitori, fratello – lo vedono maschio quando invece lui si sente femmina. Che stupidi questi gender babbani! George poi legge il libro La tela di Carlotta, libro che gli piacerà moltissimo. La sua maestra annuncia che la scuola farà una riduzione teatrale di questo racconto e George si propone di interpretare Carlotta, ma la maestra, retriva e bigotta, gli risponde che il ruolo potrà essere interpretato solo da una sua compagna. Sarà Kelly, una sua amica, a indicargli un modo per fare outing ed essere accettato. In una battuta: piccoli trans crescono.
George è stato distribuito in 10.000 scuole e biblioteche della nazione e lo stesso autore è stato chiamato a parlarne già in un centinaio di scuole, nonostante il libro sia fresco di stampa. L’eco mediatica è impressionante e tutti i principali tabloid anglofoni hanno sfornato recensioni ovviamente entusiaste, nel miglior stile del gaiamente corretto. Da noi è in uscita presso Mondadori. Gino pare dunque essere candidato a diventare il Dan Brown dell’editoria Lgbt L’autore ha impiegato 12 anni per scrivere questa storia. Tolstoj ne impiegò 13 per portare a compimento Guerra e Pace e questo la dice lunga sullo spessore letterario di Gino. George in quanto a vendite veleggia spedito verso le centinaia di migliaia di copie. I venti che gonfiano la vela del nostromo Gino sono sempre gli stessi di qualsiasi campagna gay.
In primo luogo viene tirato fuori dalla tomba il buon Pindaro, poeta dell’antica Grecia, che nel suo Pitiche così esortava tutti noi: «Diventa ciò che sei». È il frusto tema della spontaneità. Quindi se George si sente Melissa, ebbene che sia Melissa. Ma qui si confonde tra spontaneità e autenticità. Noi tutti dobbiamo diventare il meglio di noi stessi (autenticità), non semplicemente ciò che ci piace essere o ciò che le nostre viscere ci suggeriscono di essere (spontaneità). Se mi sento ladro e bugiardo forse che mi sarà concesso rubare e mentire? In secondo luogo pare che il transessualismo, anche nella sua versione bonsai, non sia foriero di nessun guaio per la psiche dei minori, ma anzi li appaghi proprio perché status catartico e liberatorio.
Ma solo i bimbi trans nati e cresciuti sulla carta sono felici, tutti gli altri no. Ce lo dicono psichiatri e psicoterapeuti i quali tra l’altro, quando da loro si presentano mamma e papà con piccolo al seguito un po’ confuso sulla propria identità psico-sessuale, fanno adagiare sul lettino prima gli adulti perché di certo c’è qualcosa che non va in loro o nel loro rapporto. C’è poi un altro vento ideologico che soffia con forza sulle vele della navicella George. Molti commentatori hanno sovrapposto la figura del bimbo-trans a quella del bimbo-disabile o del bimbo-grasso o del bimbo di colore, analogie che dovrebbero aprire i cuori di pietra dei transfobi all’inclusività senza riserve. Nel primo e secondo caso si fanno così un autogol perché ci dicono che il transessualismo è una disabilità, una patologia o perlomeno un rischio per la salute come lo è l’obesità. Nell’ultimo caso, quello del bambino di colore, l’accostamento è indebito. L’etnia come la razza sono dati di natura, non così il transessualismo che invece contrasta con la natura, metafisicamente intesa.
La morale del racconto George per i cannibali del buon senso è dunque che “diverso è bello”. Invece per i custodi del sacro buon senso le cose belle sono ben diverse e la trans-novella di Gino è solo un modo per stuprare le candide anime dei bambini.