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LA STORIA

Gennaro, il più napoletano dei santi

Ieri si è ripetuto ancora una volta il «miracolo di San Gennaro». Fu vescovo di Benevento, martirizzato sulla via di Napoli nelle persecuzioni di Diocleziano. Per questo divenne il "santo di Napoli" anche se non era napoletano. E non è l'unica sorpresa...

Ecclesia 20_09_2013
San Gennaro

Quando, molti anni fa (1996), l’editore Piemme chiese al sottoscritto un libro su San Gennaro, il problema fu subito evidente, perché il più napoletano dei santi del calendario non era affatto napoletano. Gennaro (Ianuarius), infatti, era un vescovo di Benevento. Di lui non si sa quasi nulla, tranne che, conforme alla tradizione, doveva avere sui trentatré anni (così dicono le analisi sulle ossa). Pare si sia messo in cammino verso Napoli ma a Napoli non arrivò mai, perché venne decapitato a Pozzuoli durante la persecuzione di Diocleziano insieme ad alcuni dei suoi diaconi. Poiché il suo corpo, ritrovato in una grotta, cominciò a prodursi in miracoli, venne portato a Napoli, dove si trova tutt’ora.

La venerazione dei napoletani per questo santo la si constata sfogliando un elenco telefonico: Gennaro Esposito è il nome più classico dei napoletani. Gennaro (dal dio Giano ma anche da Ianua, porta) Esposito (trovatello nella Ruota degli Esposti): dice tutto sulla joie de vivre e sul temperamento particolarmente filosofico degli abitanti della città-sotto-il-Vesuvio. La ricorrenza di san Gennaro è il 19 settembre, data nella quale il suo sangue, contenuto in un’ampolla, «squaglia», cioè si scioglie. A volte l’arcivescovo lo cava dalla cassaforte già sciolto, altre si scioglie sotto gli occhi dei fedeli, altre ancora si rifiuta di farlo, cosa che è considerata di cattivo auspicio.

In verità, le liquefazioni del sangue di san Gennaro sono due (l’altra è in maggio), ma qui vogliamo parlare di quella principale. Questa, infatti, in un’occasione fu causa di malumore per i napoletani. Ci riferiamo al tempo dell’invasione giacobina, quando il generale francese Championnet puntò una pistola alla tempia dell’arcivescovo di Napoli e gli intimò di far sciogliere il sangue del santo. Da buon miscredente il generale riteneva che fosse tutto un trucco clericale e temeva l’ira del popolo sui «liberatori» se il sangue non avesse fatto il suo superstizioso dovere. L’ampolla effettivamente «sguazzò», ma fu proprio questo a scatenare i partenopei. La rivolta antifrancese esplose lo stesso, riuscendo a cacciare i giacobini e i loro collaborazionisti, con l’aiuto dei sanfedisti (l’Armata della Santa Fede del cardinale Ruffo) sopraggiunti. Ma se la prese pure con san Gennaro, reo di aver obbedito al diktat dell’invasore. San Gennaro, che aveva il grado di Generalissimo dell’esercito napoletano (e percepiva il relativo soldo), fu degradato ufficialmente e sostituito con sant’Antonio di Padova nella gerarchia del patrocinio napoletano.

Infatti, Gennaro è solo il patrono principale di Napoli, città che di patroni celesti ne ha una cinquantina. Ma poi, col tempo, san Gennaro venne perdonato e rimesso al suo posto: da troppi secoli era ormai identificato con la città del golfo. Con la riforma del calendario dei santi operata da Paolo VI, quello del santo di Napoli fu declassato a culto locale. I napoletani, che gli fanno festa grande anche a Brooklyn, ci rimasero male, ma finirono col prenderla, al solito, con filosofia: su un muro cittadino comparve la scritta «San Ginna’, futtetènne!».

Tuttavia Napoli non sarebbe Napoli se non riservasse altre sorprese. Non tutti sanno, infatti, che oltre alle due liquefazioni annuali del sangue di san Gennaro, da quelle parti ci sono due ulteriori santi che si esibiscono nello stesso fenomeno: santa Patrizia e san Pantaleone. Patrizia, discendente di Costantino, fuggì da Costantinopoli perché l’imperatore Costante II (VII secolo), suo parente, le aveva imposto un matrimonio indesiderato. Si recò a Roma dal papa Liberio poi pellegrinò in Terrasanta, ma una tempesta la fece naufragare sulle coste di Napoli. Qui rimase qui morì. Il suo sangue, custodito nella chiesa di San Gregorio Armeno, liquefa ogni 25 agosto (un devoto del XVII secolo le aveva staccato un dente dal teschio come reliquia ma ne era uscito sangue) di fronte a tutte le ragazze che vengono a chiedere la grazia di un buon marito. Pantaleone di Nicomedia, invece, era il medico di Galerio, vice di Diocleziano. Subì il martirio per decapitazione dopo varie torture (miracolosamente vane). Le sue reliquie sono sparse dall’Italia alla Spagna, ma nel duomo di Ravello (provincia di Salerno) si conserva parte del suo sangue, che liquefa regolarmente a luglio.

Per quanto riguarda il sangue «principale», quello di san Gennaro, esso è stato analizzato con lo spettroscopio dal celebre sindonologo Pierluigi Baima Bollone: è sangue vero, sangue umano. I famosi esperimenti del Cicap che dimostrano come sia possibile ottenere analogo fenomeno tramite comuni sostanze chimiche non spiegano né l’antichità dell’ampolla e del suo sigillo, né il fatto che essa contenga sangue e non ketchup. Un’ultima notazione: le famose «parenti di san Gennaro», le anziane donne che, in prima fila, insulterebbero il santo esortandolo a prodursi nel miracolo («Facci giarnùta!», faccia ingiallita, con riferimento al busto-teca dorato), non sono altro che una leggenda metropolitana. Nessun napoletano oserebbe mancare di rispetto al «suo» santo.