Gaza non basta, si apre un nuovo fronte in Libano
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Gaza non basta, si sta aprendo un nuovo fronte mediorientale nel nord di Israele, al confine con il Libano. Si intensifica il lancio di razzi di Hezbollah. Muore anche un italo-israeliano.
Gaza non basta, si sta aprendo un nuovo fronte mediorientale nel nord di Israele, al confine con il Libano. A dire il vero, quel fronte non si è mai chiuso dal 7 ottobre scorso. Ma Hezbollah ha intensificato gli attacchi, ha provocato vasti incendi in Galilea e Golan, i danni sono ormai inaccettabili per Israele e dunque da Gerusalemme ci si attende una risposta più dura, una vera e propria offensiva, più dei bombardamenti selettivi con cui, finora, l’Israeli Air Force ha risposto agli attacchi di Hezbollah.
Dal pogrom scatenato da Hamas nel sud di Israele, Hezbollah, milizia sciita libanese filo-iraniana, per appoggiare il gruppo terrorista di Gaza, ha lanciato cinquemila fra razzi e droni contro il nord di Israele, soprattutto la Galilea e il Golan, colpendo indistintamente obiettivi militari e civili e provocando 22 morti. Dalle aree di confine sono stati evacuati 90mila cittadini israeliani, che vanno a comporre una popolazione di ormai 250mila sfollati interni. Ultimamente Hezbollah ha aumentato i suoi attacchi con razzi e proiettili incendiari, scatenando vasti incendi indomabili in tutta la regione, una delle più verdi di Israele. E così anche i pochi temerari che erano rimasti aggrappati ai loro kibbutz, alle loro case, alla città Kiryat Shmona, se ne sono dovuti andare.
Il 5 giugno, droni “suicidi” carichi di esplosivo hanno colpito l’abitato di Hurfeish, un villaggio druso dell’Alta Galilea, provocando sette feriti. Hezbollah ha anche rivendicato il lancio di alcuni missili contro un’installazione di Iron Dome, l’ormai celebre sistema di difesa anti-missile a corto raggio già in azione a Gaza.
In questa escalation di attacchi è morto anche Rafael Kauders, un riservista italo-israeliano di 39 anni dell’esercito. Originario di Milano, lascia 4 figli. È il primo caduto militare con passaporto italiano, ma il quarto italo-israeliano morto in questa guerra, dopo Nir Forti, ucciso al festival Nova dai terroristi di Hamas, Evitar Kipnis e la moglie Liliach Lea Havron trucidati nel kibbutz di Beeri, sempre durante il pogrom del 7 ottobre.
L’aumento della pressione militare dal nord, si spiega, almeno in parte, con l’attivismo diplomatico iraniano nella regione. Dopo aver perso presidente e ministro degli Esteri, il nuovo governo iraniano, se non altro per mostrare di non aver perso colpi, ha subito mandato il nuovo ministro degli Esteri, Alì Bagheri Kani a Damasco e Beirut, per consolidare “l’Asse della resistenza”. Anche nel suo incontro con l’omologo libanese, Bagheri Kani, ha discusso “metodi su come contrastare il regime sionista”, secondo una nota stampa iraniana. Ma è con gli Hezbollah, ormai Stato nello Stato all’interno del Libano, che Teheran ha un filo diretto. Hassan Nasrallah, il leader del “partito di Dio”, incoraggiato dagli iraniani, ha rifiutato ogni proposta presentata dai mediatori statunitensi.
«Una escalation in Libano metterebbe a rischio la sicurezza di Israele», è il punto di vista degli Stati Uniti, espresso dal portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller. Per poi giungere alla conclusione che un cessate il fuoco a Gaza allenterebbe la tensione in tutta l’area, anche al nord di Israele. L’amministrazione Biden ha fretta di vedere una conclusione. Da quel che avviene nel Medio Oriente dipende l’esito delle elezioni di novembre. Una parte del partito e dell’elettorato democratico sostengono la causa palestinese ed è insofferente con una politica del presidente Joe Biden giudicata troppo filo-Israele.
Ma la crisi del Libano non dipende, se non in minima parte, dall’azione mediatrice statunitense. Dipende, come abbiamo visto, da quanto l’Iran è disposto a spingere. E dipende, soprattutto, da quanto Israele è disposto a subire, in termini di danni e vittime, prima di lanciare una risposta militare a tutto campo contro Hezbollah in Libano. Non solo i soliti estremisti di destra (i ministri Smotrich e Ben Gvir) premono per un’azione militare decisiva, ma anche gli stessi ministri del Likud, il partito del premier, insistono perché Netanyahu faccia qualcosa. Il primo ministro finora ha evitato una guerra su due fronti, ma non è detto che regga a lungo questa pressione. Intanto, per cominciare, ha ordinato la mobilitazione di altri 50mila riservisti.
In tutto questo, il grande assente è l'Onu. La missione Unifil 2, voluta dall'Italia nel 2006, come forza di interposizione dopo la fine della Seconda guerra libanese, parrebbe non esistere neppure. Così come è sempre più disattesa la Risoluzione 1701 che impone a Hezbollah di rimanere a una distanza di sicurezza dal confine israeliano. Carta straccia, come si vede in questi otto mesi.