Gaza, guerra senza limiti. L'assedio della piccola comunità cristiana
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Non ci sono più limiti, né regole di ingaggio a Gaza. Come dimostra l'assedio alla parrocchia cattolica della Sacra Famiglia, dove cecchini israeliani hanno ucciso anche due volontarie, senza alcun motivo. La battaglia infuria anche in Cisgiordania. Appello alla pace del patriarca Pizzaballa.
«I carri armati che si trovano nei pressi della nostra chiesa - dice suor Nabila Saleh, della Congregazione delle Suore del Rosario - stanno sparando in continuazione. Indirizzano i loro colpi verso tutto ciò che è ancora in piedi. I soldati setacciano il territorio. Non abbiamo né luce, né acqua, non abbiamo nulla. Soltanto tanta paura. Ora tutto il complesso della parrocchia della Sacra Famiglia è circondato da soldati israeliani. Ma non si è spenta la speranza che il Signore e la Madonna non ci abbandoneranno». Nel sottofondo della conversazione si sentono i colpi esplosi dai carri armati. La suora balbetta, piange. Non riesce più a raccontare quello che sta accadendo e il colloquio si interrompe all'improvviso ... Non c'è più contatto telefonico.
Il giorno dopo la tragica uccisione di due donne, la situazione nelle vicinanze della parrocchia latina di Gaza è sempre più drammatica. La cronaca, purtroppo, deve registrare una triste pagina che riguarda i cristiani della Striscia. Sabato scorso, infatti, due donne sono state uccise da un cecchino israeliano. Madre e figlia. Si chiamavano Nahida Khalil Anton e Samar Kamal Anton, entrambe cristiane. Vivevano all'interno della struttura della chiesa parrocchiale latina di Gaza assieme ad altre settecento persone che lì hanno trovato un rifugio. La loro casa è stata completamente distrutta dalle ruspe dell'esercito israeliano, qualche giorno dopo che i militari con la stella di David avevano avviato l'operazione di terra contro i miliziani di Hamas.
Nahida e Samar stavano recandosi in bagno quando un soldato, con il suo fucile di precisione, colpiva prima Nahida e poco dopo Samar. Altre sette persone sono rimaste ferite, una è in gravi condizioni. Facevano parte della piccolissima comunità cattolica all'interno della Striscia. Ammazzate senza alcuna motivazione. Senza nessuna colpa. Le hanno uccise a sangue freddo. «Si tratta di una campagna di morte contro la più antica comunità cristiana del mondo. Samar era la cuoca della casa delle Suore di Madre Teresa di Calcutta», ha detto Hammam Farah, parente delle due palestinesi cristiane uccise, in una comunicazione su X.
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca della Chiesa Madre, immediatamente informato di quanto stava accadendo in parrocchia, si è messo in contatto con il Gabinetto di guerra del governo di Benjamin Netanyahu chiedendo la sospensione dell'azione militare. Ma inutilmente. I militari hanno proseguito nelle loro operazioni. L'ordine che avevano ricevuto non è stato revocato. E anche i carri armati sono entrati in azione. Uno ha sparato contro la casa delle Suore di Madre Teresa. All'interno della struttura, oltre alle religiose, vivono 54 bambini con gravi problemi fisici. Molti dei quali sopravvivono con il respiratore. Ora questi piccoli sono in cerca di un nuovo rifugio. Distrutto anche l'unico generatore di corrente e una suora è rimasta ferita. «Nessuno ci aveva avvertito dell'operazione militare», dicono in Patriarcato.
Le operazioni militari sono proprio a ridosso dei locali della chiesa della Sacra Famiglia e c'è molta paura tra i cristiani che hanno trovato rifugio in quel luogo. «Sono momenti di panico; c'è terrore, soprattutto tra i bambini e gli anziani. Ma perché ci stanno uccidendo? Non siamo terroristi. Dopo la tragica morte di Nahida e Samar siamo tutti seduti per terra. Nessuno di noi si alza. Abbiamo veramente tantissima paura», dice una fonte di Gaza che non vuole rivelare la sua identità per il timore di ritorsioni. Sembra che i cecchini israeliani abbiano l'ordine di sparare su qualsiasi cosa in movimento.
Kamel Ayyad, portavoce della chiesa ortodossa di san Porfirio, struttura colpita da un attacco israeliano, durante il quale persero la vita ben diciotto persone, tra cui diversi bambini, è molto preoccupato; se gli israeliani continueranno a bombardare le chiese e ad ammazzare i fedeli «molti cristiani - ha dichiarato - sono intenzionati a lasciare Gaza, per l’America, il Canada o il mondo arabo, alla ricerca di un’esistenza più sicura».
I carri armati, intanto, proseguono la loro avanzata seminando morte e distruzione sia al nord, ormai raso al suolo quasi completamente, sia nel sud di Gaza dove i militari hanno intensificato le azioni di guerra. Ed è proprio in una di queste operazioni che tre ostaggi israeliani sono stati uccisi. Sventolavano un drappo bianco e urlavano, in lingua ebraica, di essere dei prigionieri di Hamas. Ma inutilmente. Sono stati ammazzati. Uccisi dal "fuoco amico" mentre credevano di avere ormai riconquistato la libertà. Il portavoce dell'esercito, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha spiegato la dinamica: «Nel corso dei combattimenti un'unità dell'esercito ha assimilato per errore tre israeliani con dei miliziani. Ha aperto il fuoco nella loro direzione e sono rimasti uccisi. Subito - ha aggiunto il portavoce - abbiamo avuto il sospetto di un errore. I loro corpi sono stati trasferiti in Israele per il riconoscimento». L'esercito ha subito avviato un'inchiesta per stabilire l'esatta dinamica dell'accaduto. La notizia della morte dei tre ostaggi ha causato proteste e scontento in tutto Israele. Decine di persone hanno manifestato davanti al Quartier generale militare di Tel Aviv. I dimostranti esibivano cartelli con i nomi e le foto di molti altri ostaggi, chiedendone l’immediato rilascio.
Settantadue giorni dopo quel tragico attacco di Hamas, sono quasi 19.000, secondo le autorità di Gaza, i palestinesi uccisi; oltre 1.200 tra civili e militari gli israeliani morti in quel tragico 7 ottobre, e almeno 110 soldati ebrei sono caduti nei combattimenti di terra iniziati il 27 ottobre. Un bilancio pesantissimo.
Ma anche in Cisgiordania il clima sta per superare il livello di guardia. Pare che a Jenin i soldati israeliani agiscano ormai senza regole di ingaggio. È di qualche giorno fa la notizia che un militare, insieme ad altri commilitoni, dopo essere entrato in una moschea della città ha preso e attivato un microfono per recitare una preghiera ebraica. Gesto che i musulmani hanno giudicato come una provocazione. Del resto a Jenin si continua a morire. Anche ieri, domenica, un giovane è stato ucciso. Laith Abu Al-Nimr è morto a causa delle ferite provocate dai frammenti di un proiettile sparato da un drone contro un gruppo di giovani che si trovava nel quartiere orientale della città. Il numero dei palestinesi uccisi in Cisgiordania sale a 294. A Gerusalemme le forze di sicurezza impediscono a decine di uomini e giovani di pregare nella moschea di al-Aqsa, dando, invece, la possibilità ai coloni ebrei ultraortodossi di entrare nella spianata per recitare le loro preghiere.
Di fronte a tutta questa sofferenza il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini rivolge un pressante invito ai cristiani a «pregare per tutte le vittime innocenti. La sofferenza degli innocenti davanti a Dio ha un valore prezioso e redentivo, perché si unisce alla sofferenza redentrice di Cristo. Che la loro sofferenza avvicini sempre di più la pace e non contribuisca a generare altro odio!».