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arte sacra

Gaudí è venerabile, genio e santità dell'"architetto di Dio"

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Vita ascetica e sguardo contemplativo. Con il riconoscimento delle virtù eroiche arriva un passo decisivo verso gli altari per l'autore della Sagrada Familia, che divenne il "cantiere" della sua profonda spiritualità.

Ecclesia 19_04_2025

Il binomio ricorrente e un po’ inflazionato di “genio e sregolatezza” deve cedere il passo a “genio e santità” nel caso di Antoni Gaudí i Cornet, che il 14 aprile ha compiuto un passo decisivo verso gli onori degli altari con la promulgazione del decreto relativo alle virtù eroiche. L’“architetto di Dio” è ora venerabile e, una volta riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione, si potrà procedere alla beatificazione, magari proprio nella “sua” Sagrada Familia, il cui completamento è previsto nel 2026, a un secolo esatto dalla morte.

Al Temple Expiatori de la Sagrada Família è legata la fama architettonica e anche la fama di santità di Gaudí, costituendo una summa di quello spirito contemplativo, coltivato sin da bambino, particolarmente incline a cogliere le tracce di Dio nella creazione. In realtà, più che l’opera ad essere “sua” era lui ad appartenerle e ad esserne plasmato: «Non sono io che costruisco la Sagrada Familia, è la Sagrada Familia che costruisce me», così che l’edificio esteriore divenne il grembo in cui si forgiava la sua vita interiore, in un ritiro quasi monastico (e senza risparmiarsi le penitenze proprie della vita ascetica) fino ad allestire nel cantiere un giaciglio dove trascorse gli ultimi mesi di vita. L’architetto-eremita viveva e creava al ritmo dell’anno liturgico, deliziandosi del canto gregoriano durante le Messe cantate nella chiesa oratoriana del quartiere barcellonese di Gràcia, lasciando edificato anche don Vendrell, il sacerdote che per vent’anni gli aveva amministrato ogni giorno la Santa Comunione: «Era un’anima innamorata di Dio. Mi sentivo piccolo davanti alla sua grandezza e alla sua modestia».

Una modestia tale che nessuno aveva riconosciuto il «Dante dell’architettura» – così lo aveva definito il nunzio apostolico in Spagna Francesco Ragonesi –  in quell’anziano e dimesso signore che il 7 giugno 1926 era stato investito da un tram, proprio durante il quotidiano “pellegrinaggio” tra il cantiere e la chiesa oratoriana. Tre giorni dopo, alla sua morte, fu vegliato da una folla innumerevole e un funerale di massa ne accompagnò l’anima nell’eternità e il corpo alla sepoltura, nel luogo stesso in cui aveva vissuto. Gaudí venne infatti sepolto nella cripta della Sagrada Familia, che aveva fatto in tempo a vedere completata, insieme all’abside e alla facciata della Natività.

Era ben consapevole che non ne avrebbe visto il termine, ma paradossalmente proprio il protrarsi dei lavori per più generazioni ne avrebbe assicurato la riuscita: «Invecchierò e altri prenderanno il mio posto, così la chiesa sarà ancora più grandiosa». Difficile da comprendere per l’epoca del “tutto subito”, ma non per uno spirito come Gaudí, che si poneva in continuità con i costruttori di cattedrali dei secoli passati: «Un’opera del genere deve essere figlia di tempi più lunghi. Più sono lunghi, meglio è. (...). L’opera di un solo uomo è inevitabilmente misera e morta, già dalla nascita». La buona riuscita dipendeva da tempo e sacrifici, come lui stesso spiegava con parole non proprio alla moda: «Il tempio della Sagrada Família è espiatorio. (...). Ciò significa che deve nutrirsi di sacrifici; in caso contrario sarebbe un'opera degna di biasimo, che rimarrebbe incompleta. La parola espiatorio è quella che ripugna ai settari. Il sacrificio è necessario anche per la buona riuscita delle opere cattive; poiché non è possibile sottrarsi ad esso, vale la pena compierlo per le opere buone».

Quello che non poteva prevedere è che a consacrarla sarebbe stato un papa – e un papa di nome Giuseppe. Dettaglio non casuale, dal momento che l’opera era stata voluta dall’Asociación de Devotos de San Josep e la prima pietra era stata posata il 19 marzo 1882 (oltre un anno prima che Gaudí venisse chiamato alla guida dei lavori). Un legame con il santo sottolineato dallo stesso Joseph Ratzinger, che il 7 novembre 2010 celebrò a Barcellona la Messa di dedicazione della Sagrada Familia. «La gioia che provo nel poter presiedere questa celebrazione», confidò Benedetto XVI durante l’omelia, «si è accresciuta quando ho saputo che questo edificio sacro, fin dalle sue origini, è strettamente legato alla figura di san Giuseppe. Mi ha commosso specialmente la sicurezza con la quale Gaudí, di fronte alle innumerevoli difficoltà che dovette affrontare, esclamava pieno di fiducia nella divina Provvidenza: “San Giuseppe completerà il tempio”. Per questo ora non è privo di significato il fatto che sia un papa il cui nome di battesimo è Giuseppe a dedicarlo».

Naturalmente Gaudí non poteva neanche prevedere le riflessioni sul «carattere cosmico della liturgia» presenti in vari scritti di quel papa che sarebbe nato l’anno dopo la sua morte. Ma lo aveva respirato e trasfigurato nella pietra, attraverso «il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia», che Benedetto XVI indicò come i «tre grandi libri dei quali si nutriva come uomo, come credente e come architetto», spiegando che Gaudí «unì la realtà del mondo e la storia della salvezza, come ci è narrata nella Bibbia e resa presente nella Liturgia. Introdusse dentro l’edificio sacro pietre, alberi e vita umana, affinché tutta la creazione convergesse nella lode divina, ma, allo stesso tempo, portò fuori i “retabli”, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo».

Se è vero, come diceva G.K. Chesterton, «che ogni generazione sia convertita dal santo che più la contraddice», il quale «non è quello che la gente vuole, ma piuttosto quello di cui la gente ha bisogno», nell’era delle anonime “aule liturgiche” (costruite per non disturbare troppo il mondo, più che per proclamare la gloria di Dio), ci vorrà l'intercessione di un architetto santo o almeno candidato agli altari perché un giorno si torni a innalzare la “liturgia delle pietre”.



FEDE E BELLEZZA

«Nella pietra ho trovato il volto di Cristo»

18_10_2011 Giovanni Fighera

Dal 1978 al lavoro per la Sagrada Familia, lo scultore giapponese Etsuro Sotoo ha vinto il Premio internazionale della cultura cattolica.