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gogna mediatica

Gasparro accusato di istigare all’odio ma a subire odio è lui

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Sotto accusa per un dipinto considerato antisemita, l'artista barese parla di «interpretazione strumentale» e ai suoi detrattori ricorda l'archiviazione di un analogo procedimento del 2022. Nel frattempo ha ricevuto attacchi hacker e minacce di morte: evidentemente non è lui a incitare alla violenza.

Editoriali 26_11_2024

È accusato di antisemitismo, istigazione all’odio e persino di incitamento alla violenza, ma per ora è lui a finire alla gogna con tanto di minacce di morte. Giovanni Gasparro, autore di prestigiose opere d’arte sacra nonché dello splendido drappellone dipinto in occasione del Palio di Siena, è finito sul banco degli imputati, in senso mediatico e giudiziario, per aver ripreso un soggetto iconografico risalente a cinque secoli fa.

L’opera “incriminata” raffigura il Martirio di San Simonino da Trento, un bambino di due anni la cui uccisione, avvenuta nella notte del 23 marzo 1475, fu attribuita a un caso di “omicidio rituale” per cui furono processati 15 membri della locale comunità ebraica ashkenazita. In estrema sintesi, costoro avrebbero inscenato sul corpo di Simonino una sorta di vendetta simbolica verso lo stesso Cristo; all’accusa dell’omicidio rituale era collegata l’accusa del sangue, ovvero la credenza che il sangue dei bambini cristiani venisse adoperato a fini magico-terapeutici da alcuni gruppi di ebrei ashkenaziti. Attorno a Simonino sorse un culto popolare (autorizzato nel 1588 da Sisto V), poi soppresso dall’arcidiocesi di Trento nel 1965, considerando tali accuse infondate e frutto di pregiudizi antiebraici.
Il culto di Simonino fu accompagnato da una relativa iconografia del martirio tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI. Opere reinterpretate da Gasparro nel suo dipinto, pubblicato nel 2020 e ciclicamente accusato, sui media e in sede giudiziaria, di reiterare tali pregiudizi. Ma davvero ripescare quel soggetto iconografico equivale a un attacco all’intero ebraismo? 

È bene ricordare che un primo procedimento a Milano contro l’artista fu archiviato nel 2022 per infondatezza della notizia di reato. Malgrado ciò, Gasparro si trova di nuovo trascinato in tribunale e rinviato a giudizio nella sua Bari, querelanti il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni e la Presidente dell’UCEI – Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni. Secondo l’accusa «l’istigazione alla discriminazione e la chiara matrice antisemita delle tesi sostenute dall’imputato si sono concretizzate in un incitamento rivolto alla collettività, all’odio ed all’uso della violenza in ragione della mera appartenenza ad una diversa comunità religiosa, con gravissima lesione della sfera dei diritti inviolabili delle persone». Il 14 novembre ha avuto luogo un’udienza blindata in un clima incandescente. Prossima udienza il 17 aprile.

Alle tribolazioni giudiziarie ben presto se ne intrecciano altre: «Hanno provato ad hackerare i miei siti web, a farmi revocare i premi internazionali vinti, limitare le mie partecipazioni a concorsi e commissioni pubbliche e private, a togliere le mie pale dagli altari delle chiese» racconta in un comunicato diffuso il 17 luglio. Forse l’accusa di istigazione all’odio andrebbe rivolta ad altri, per esempio a quanti lo hanno fatto «bersaglio di minacce, anche di morte, pervenutemi in tutte le lingue e su tutti i miei canali di comunicazione».
I suoi «detrattori, palesemente “informati” da qualcuno estraneo alla Procura ma tecnicamente in possesso dei dati relativi al processo ed in cerca di clamore a basso costo (...) si guardano bene dal riportare che il Gip del Tribunale di Milano (...) ha archiviato, per infondatezza della notizia di reato, il procedimento incardinatosi a mio carico, per il reato di cui all’art.604 bis del Codice Penale». Nell’ordinanza citata si legge infatti che «la diffusione via internet dell’opera non può ritenersi condotta istigatrice dell’odio razziale o etnico, ma rilevante solo dal punto di vista estetico, non rivestendo rilievo informativo».

Quanto ai commenti imputatigli, i detrattori e i loro intervistatori «omettono di menzionare l’altro “commento” attribuitomi sui social, per cui sono stato rinviato a giudizio, nel capoluogo pugliese, dal GIP, ovvero la citazione del libro Pasque di sangue», di Ariel Toaff, storico ebreo, già docente presso l’Università Bar-Ilan di Tel Aviv, nonché figlio di Elio Toaff, che fu rabbino capo di Roma. Autore non certo sospettabile di antisemitismo, e senza affatto avvalorare la veridicità dell’accusa rivolta ai suoi correligionari, Toaff subì un analogo polverone per aver ricostruito la complessità delle dinamiche e delle parti in causa. Se il “regista” del processo del 1475 era l’allora principe-vescovo di Trento Giovanni Hinderbach, a tentare di porre un freno furono Sigismondo IV conte del Tirolo e Papa Sisto IV sollecitati dalla stessa comunità ebraica, il cui riferimento era Salomone da Piove di Sacco (morto poi in quello stesso 1475). E fu proprio Salomone a richiedere al Papa l’invio di un commissario speciale, Battista de’ Giudici (che non ebbe molto successo e dovette “riparare” a Rovereto, fuori dalla giurisdizione di Hinderbach). Insomma, per le massime autorità civili e religiose dell’epoca non si trattava affatto di accusare l’ebraismo tout court. E nemmeno per Gasparro.

La lettura antisemita, dice l’artista, non si basa sul dipinto ma su «una strumentale interpretazione del contenuto della mia opera, che invece, ha un carattere esclusivamente artistico e devozionale (...) assolutamente scevro del benché più recondito sentimento di odio razziale nei confronti di chicchessia, comprese le comunità ebraiche». Di conseguenza, attribuirgli «la sottesa volontà che un dipinto che ritragga un fatto storico ovvero la narrazione che ne è stata resa, possa costituire uno sprone per atti d’odio è pretestuosa, è un processo alle intenzioni».
La spiegazione è molto più semplice: «Dipingo scene evangeliche, mistiche e di santi ed anche di quelli che furono martirizzati, indipendentemente da chi ne determinò il martirio».

Lo contattiamo all’indomani dell’udienza “blindata” del 14 novembre e malgrado il momento critico colpisce la pacatezza di chi è consapevole che eventuali letture antisemite non sono riconducibili né a lui né alla sua opera. Semmai è stupito dalle accuse che gli vengono rivolte e che definisce «surreali», come considera surreale la sola idea che un artista cattolico possa venire considerato antisemita: «Ovviamente non lo sono e non potrei esserlo, essendo ebrei Gesù come la Vergine e gli apostoli che Lui ha scelto», dice a La Bussola. «Nella libertà di espressione artistica sono libero anche di reinterpretare iconografie antiche, come faccio di consueto, basta vedere la mia produzione pittorica» – cita al riguardo il Torchio mistico e il martirio di San Pelagio di Cordova: perché non dipingere anche Simonino? «Mai mi sarei aspettato una reazione così virulenta». Tra censure social, attacchi hacker e minacce di morte, Gasparro sarà pure accusato di istigazione all’odio ma per il momento i diritti lesi dalla gogna mediatica sono proprio i suoi.