Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
MEDIO ORIENTE

Gantz, ultimatum a Netanyahu: un piano per Gaza o via dal governo

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il ministro Benny Gantz, membro del Gabinetto di Guerra, contesta a Netanyahu di non aver idee chiare sul dopoguerra. Ora chiede di mostrare le carte subito, o metterà in crisi il governo.

Esteri 20_05_2024
Benny Gantz (La Presse)

Che vi siano divergenze tra il ministro Benny Gantz (membro del Gabinetto di Guerra) e il primo ministro Benjamin Netanyahu non è più un mistero per nessuno. È stato lo stesso Gantz, nel corso di una conferenza stampa, a dare l'ultimatum a Netanyahu: «Recentemente qualcosa è andato storto - ha detto Gantz -. Il Gabinetto di guerra non ha preso decisioni sostanziali per garantire la vittoria. È molto grave che una piccola minoranza che sta al governo si sia impossessata del "ponte di comando della nave statale israeliana" e la stia portando a sbattere contro gli scogli». Il riferimento di Gantz è chiaro: sotto accusa sono i ministri dell'estrema destra, che non c'è giorno, che non minaccino di ritirare l'appoggio al governo se non si esegue quanto da loro voluto e sostenuto.

Gantz è molto determinato nel lanciare la sfida al primo ministro: «Il Gabinetto di guerra deve predisporre un piano d’azione sul post-guerra entro l’8 giugno. Se il governo non presenterà un piano in tal senso - è l’ultimatum fatto sabato scorso in diretta tv dall’ex generale centrista e membro del Gabinetto di guerra - il suo partito, Blu e Bianco, ritirerà l’appoggio al governo, ratificando la frattura politica scavata nelle ultime settimane, dopo che Netanyahu ha ripetutamente rifiutato di spiegare, in pubblico e agli alleati, cosa intende fare nella Striscia dopo l’offensiva militare». «Le condizioni poste da Gantz - ha replicato il primo ministro - sono chiare: egli vuole la fine della guerra e la sconfitta di Israele, lasciare gli ostaggi al loro destino, il mantenimento di Hamas intatto e la creazione di uno Stato palestinese».

Ma Netanyahu viene sempre più contestato anche dagli israeliani, che ieri hanno manifestato in massa contro la politica governativa, certi che sin tanto egli rimarrà al potere, gli ostaggi non saranno rilasciati. «Nelle ultime due settimane, il primo ministro si è occupato di sabotare in modo criminale gli accordi sugli ostaggi. È a causa di Netanyahu che non c'è un accordo e che gli ostaggi non tornano», ha detto Ayala Metzger, nuora di Yoram Metzger, uno degli ostaggi di Gaza.

Nel frattempo, proseguono a ritmo serrato le operazioni militari sia a Gaza che in Cisgiordania. Non è la prima volta, infatti, che l'aviazione israeliana prende di mira degli obiettivi a Jenin, villaggio alle porte di Ramallah, città scelta dall'Autorità palestinese come "capitale provvisoria" della Palestina. Un'azione combinata con gli elicotteri Apache, aerei da caccia, carri armati e alcune centinaia di soldati che avanzano dietro le ruspe che distruggono tutto ciò che incontrano lungo il loro devastante procedere. Durante questo periodo, l'Idf, l’esercito israeliano, ha condotto circa cinquanta attacchi aerei, uccidendo 215 persone.

A Jenin, le operazioni erano iniziate prima di quel tragico 7 ottobre, e nonostante sia sotto la giurisdizione dell'Autorità palestinese, i militari israeliani spadroneggiano nella città imbracciando micidiali armi, arrestando gli abitanti del luogo e demolendo le loro case. La motivazione - anche se di ufficiale non c'è nulla - è la ricerca di terroristi. Quando i militari o i carri armati avanzano, ad osservarli, nascosti tra le macerie, ci sono i bambini. Hanno gli occhi rossi. Urlano. Agitano le mani contro di loro. A sbirciare da altri ripari ci sono anche gli anziani. Uno di loro, Ibrahim Elis Koury, con la barba lunga e bianca, che raggiungiamo telefonicamente tramite un parente, ci dice: «Sono anziano e stanco. È dal 1948 che sopporto le angherie dell'esercito israeliano. Ci trattano come se fossimo degli animali. Ormai mi sto avvicinando alla morte. Spero che sia una morte naturale e non provocata da qualche proiettile. Ma pongo una questione: a Jenin, come negli altri villaggi vicini e in tutta la Palestina ci sono migliaia di ragazzini. Nei loro occhi, queste immagini non si cancelleranno mai: familiari ammazzati, arrestati, abitazioni distrutte ... È un film che si ripete ogni giorno, ogni notte. In loro cresce l’odio. L’avversione contro quelli che hanno distrutto le loro case, hanno ucciso i loro genitori. Quell'odio non sarà mai cancellato. Con nessuna arma. Si trasmetterà di generazione in generazione». La conversazione si interrompe all'improvviso. Non riusciamo più a collegarci.

«In Terra Santa oggi - ha detto di recente il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini - tutto parla di divisioni, di solitudini, di odio, di rancore, di vendetta; quando sembriamo vicini ad una conclusione si deve ricominciare daccapo. Sembra che il diavolo voglia fermare ogni iniziativa di bene, però il bene si compie ugualmente. Il bene, l’amore e il desiderio di costruire relazioni si realizzano sempre nei piccoli contesti, poco alla volta, con fatica. Non dobbiamo attendere l’esito da quello che facciamo, ma lavorare solo per amore».

Jenin e Jabalya, due città: una in Cisgiordania, l’altra a Gaza. In entrambe, l'esercito israeliano trova una forte resistenza. La popolazione si ribella. Insorge contro l'occupazione. Oltre al bilancio delle vittime civili e la distruzione crescente, nella Striscia di Gaza, dopo sette mesi di conflitto si sta consolidando tra gli osservatori (Stati Uniti d'America inclusi) e tra gli esperti di geopolitica, a cominciare da quelli israeliani, l’idea che l’obiettivo auspicato da Netanyahu per la vittoria finale: “distruggere Hamas”, sia irraggiungibile, impossibile, perché l’organizzazione si estende anche oltre la Striscia.

Yoav Gallant, nonostante sia ministro della Difesa e a conoscenza di tutti i piani possibili di attacco e di difesa, aveva proposto al Gabinetto di guerra di “accompagnare l’offensiva di terra nella Striscia di Gaza con una soluzione politica” che coinvolgesse l'Autorità Nazionale Palestinese, guidata da Abu Mazen. Proposta bocciata sia dallo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu, che dai ministri di estrema destra, in modo particolare da Itamar Ben Gvir, che è arrivato al punto di chiederne le dimissioni.

Un'altra sottile guerra è quella condotta dalle autorità israeliane che continuano nel loro progetto di espulsione dei palestinesi dalla Cisgiordania. Nell’area di Wadi al-Khalil, vicino al villaggio di Umm Batin, a nord del deserto del Negev, sono state abbattute, lo scorso mercoledì, una cinquantina di abitazioni palestinesi. Le case appartenevano tutte alla tribù della famiglia Abu Asa, i cui membri si sono scontrati con gli agenti di polizia israeliana che proteggevano le ruspe, impegnate nell’abbattimento degli edifici. «Le autorità israeliane stanno cercando di costringerci a trasferirci in un altro luogo, sotto minacce e intimidazioni, al fine di estendere la Strada 60 verso sud, ma gli Abu Asa si rifiutano di trasferirsi in un quartiere individuato da Israele nella città di Tel as-Sabi», ha detto un rappresentante della famiglia.

Nel frattempo, purtroppo, aumenta il numero dei morti tra gli ostaggi israeliani in mano ad Hamas: i corpi di tre prigionieri sono stati recuperati dai militari ebrei nel corso di un'operazione a Gaza. I tre partecipavano, quel 7 ottobre, al festival musicale Nova e furono catturati durante la fulminea invasione dei miliziani di Hamas. Il portavoce dell'esercito israeliano ha annunciato poi la morte di due lavoratori agricoli di nazionalità tailandese, anch'essi ostaggi di Hamas, i cui corpi si trovano ancora a Gaza. Si ritiene che Hamas detenga nella Striscia, in questo momento, 39 corpi dei 129 ostaggi catturati.

In campo internazionale c'è molto nervosismo per le continue azioni condotte dall'esercito israeliano nella Striscia. Dopo il Sudafrica anche la Giordania, tramite il ministro degli Esteri Ayman Safadi, chiederà un'indagine internazionale per i numerosi crimini di guerra commessi dall'esercito israeliano in questo conflitto.