Galli della Loggia sul Papa: una incomprensione di fondo
In un lungo articolo sul Corriere della Sera, l'intellettuale liberale coglie alcuni aspetti importanti e clamorose contraddizioni di questo pontificato, ma gli sfugge che oggi non ci si muove più nell'ottica del Concilio Vaticano II o del dopo-Concilio, ma in quella di un Vaticano III non convocato, rivoluzionario e conservatore allo stesso tempo.
Un editoriale di Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 29 dicembre scorso merita di non rimanere sepolto sotto le notizie delle restrizioni governative alle feste di capodanno. In esso si sottolineano due aspetti importanti del pontificato di Francesco.
Il primo è che sembra venuto meno il compromesso tra società liberale e cristianesimo che era stato messo in piedi dalla rivoluzione francese a Benedetto XVI. Questo compromesso consisteva nel considerare la politica come laica ma nello stesso tempo animata da principi cristiani secolarizzati. Questi non erano religione, ma avevano pur sempre bisogno della religione cristiana per non svuotarsi e perdersi. Galli non fa nomi, ma gli esponenti di questa linea sono stati molti e vanno da Maritain a Bökenförde, tanto per fare due soli esempi.
Come mai – si chiede Galli – questo pontefice non si cura di questo passaggio epocale e non se ne mostra preoccupato?, come invece fece Benedetto XVI con le sue continue messe in guardia dal pericolo del relativismo implicito in questo paradigma e realista nel dire che, nonostante esso, la fede stava per spegnersi come una fiammella che non ha più alimento?
Il secondo aspetto è che – sempre secondo Galli della Loggia - questa non-volontà della Chiesa di oggi di fare il punto su se stessa emerge con Francesco da altri due significativi aspetti: il suo rifiuto nel governo della Chiesa della democrazia e dello Stato di diritto, date le nomine a propria immagine nel collegio cardinalizio, che si proiettano sul prossimo conclave; e l’atteggiamento assunto nel caso Becciu, condannato senza processo con la sospensione dell’habeas corpus, che della stagione liberale era uno dei principi fondanti. Per questo – dice Galli – quello di Francesco, contrariamente a quanto si dice, è un pontificato non progressista ma reazionario, e infatti la valorizzazione delle donne nei centri di potere vaticani è bloccata.
Galli della Loggia è un liberale capace di dialogare (e talvolta di andare d’accordo) con la religione cattolica. Virtù morale e intellettuale piuttosto rara e quindi apprezzabile. Sottolinea cose molto intelligenti, ma non si stacca dalla sua prospettiva liberale. Assume quindi alcuni criteri per valutare questo pontificato, non tenendo conto che questo pontificato li ha già superati e si colloca oltre. Gli chiede delle cose che esso ha già consegnato al passato. Il carattere indiscutibilmente rivoluzionario dell’attuale pontificato consiste proprio nel non porsi più i problemi che fino a Benedetto XVI la Chiesa si poneva e dentro i quali trovano posto anche le osservazioni di Galli della Loggia.
Papa Francesco non si colloca più dentro la fase conciliare e nemmeno più dentro quella post-conciliare. Egli si colloca nel post-post-concilio o, se si vuole, nella fase di un Concilio Vaticano III non convocato [molti osservatori lo hanno detto, cominciando da Giuliano Ferrara, quindi il merito della sottolineatura non è mio; molti lo avevano anche previsto e richiesto, come Giuseppe Alberigo e quanti nel 1977 si erano riuniti all’università americana di Notre Dame, vicino a Chicago, proprio per stendere l’agenda di un Vaticano III].
Non si colloca più nemmeno in quella indicata da Galli della Loggia della “laicità aperta” o della “buona laicità”, come diceva Benedetto XVI e come sosteneva ai suoi tempi il presidente francese Sarkozy, chiamato perfino a parlarne in Laterano. Quel tempo è finito anche se le interpretazioni del perché sia finito sono diverse.
Una prima sostiene che una laicità che non sia laicismo non è possibile. Il compromesso liberale, essendo un compromesso, non solo è destinato a fallire ma anche a radicalizzarsi in senso anticristiano. Una volta stabilito il principio che la società ha bisogno indiretto della religione (“lo Stato ha bisogno di presupposti che da solo non sa darsi” diceva Bökenförde) finisce poi con non averne bisogno per niente. In questo senso il pontificato di papa Francesco toglie un equivoco e da questo punto di vista l’osservazione di Galli della Loggia a tutela di quel compromesso suona ingenuamente nostalgica.
Si passa così alla seconda versione: il compromesso tra religione e politica va superato in una indifferenza nei rapporti tra le due. La Chiesa collabora con tutti, anche con l’ONU che nei suoi obiettivi per il 2030 vuole l’aborto universalizzato. Questa sembra la posizione di Francesco che risulta comprensibile solo con l’accentuazione del cristianesimo come prassi di (generica) misericordia a danno della sua valutazione in termini di dottrina. La dottrina, infatti, non solo è consegnata nelle mani delle Conferenze episcopali ma anche in quella dei vari dicasteri del Vaticano, per cui la Congregazione per la Dottrina delle Fede dice una cosa e la Pontificia Accademia per la vita un’altra.
Il cattolicesimo come prassi che viene esercitata a 360 gradi è senz’altro rivoluzionario, ma nello stesso tempo è anche conservatore. È una utopia (sognare, non farsi rubare la speranza, avere coraggio, uscire…) ma è anche una ideologia. Se il vero è il nuovo e se lo Spirito spira in ogni nuovo, allora ogni nuovo, appena accaduto, è già vecchio. Galli accusa di conservatorismo questo pontificato che si dice progressista e non vede che il suo conservatorismo coincide con il suo progressismo. Da qui il doppio atteggiamento nella prassi di Francesco: ora spinge in avanti ora tira indietro. Ma il suo scopo è spingere in avanti tirando indietro.