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EGITTO

Fratelli Musulmani, ecco come sconfiggerli

Mentre in Egitto continua il braccio di ferro tra esercito e Fratelli Musulmani, l'Occidente dovrebbe pensare a dare un sostegno economico all'attuale governo, per evitare la deriva fondamentalista.

Editoriali 09_09_2013
manifestazione pro Morsi

Il 6 settembre la notizia di un eventuale scioglimento dei Fratelli Musulmani rimbalza da una agenzia di informazione all’altra. Chi conferma, chi smentisce. Chi gioisce, chi inneggia alla repressione. Ebbene, con molta probabilità si è trattato dell’ennesimo caso in cui si è fatto molto rumore per nulla. 

Il 3 settembre scorso, l’ambasciatore egiziano in Italia, ‘Amr Helmy, dichiarava alla Aki-Adnkronos che il proprio governo non aveva alcuna intenzione di dichiarare fuorilegge i Fratelli musulmani. E così è stato. Infatti la notizia diffusa dal quotidiano egiziano Akhbar El Yom non riguarda tanto lo scioglimento d’ufficio del movimento fondato da Hasan al-Banna, bensì quello della ONG dei Fratelli musulmani. Quest’ultima è stata costituita non nel lontano 1928, ma nel recente marzo a seguito della richiesta da parte di un gruppo di giudici di dissolvere il movimento poiché non aveva status legale e non ottemperava quindi alla legge 84 del 2002. Ora in base alla stessa legge che sancisce che le ONG non possono né entrare in politica né avere ramificazioni militari il Ministro della coesione sociale, che ha il diritto e la discrezione di chiudere qualsiasi organizzazione non governativa, ne dichiarerà la nullità. In altre parole dissolvere la ONG della Fratellanza significa semplicemente ritornare al punto di partenza. 

Purtroppo la storia dei rapporti tra governo egiziano e la Fratellanza è costellata da fatti simili, da alti e bassi, da repressione e tolleranza, ma fondamentalmente dalla paura sia delle sue potenzialità sul terreno sia dalle potenzialità a livello internazionale dall’associazione islamica globale più radicata ovunque, dagli Stati Uniti al Medio Oriente. Basti pensare a Sadat che prima è sceso a patti con loro, è stato poi assassinato da un affiliato alla Gamaat al-Islamiyya, espressione militare dei Fratelli musulmani. Basti pensare alla messa al bando ufficiale dei Fratelli musulmani da parte di Mubarak e il conseguimento di ben 88 seggi in parlamento da parte di loro candidati indipendenti nel 2005.

Non solo, ma non va dimenticato che molte delle 25.000 ONG egiziane sarebbero riconducibili alla Fratellanza, che la maggior parte delle moschee in Egitto è nelle mani di quest’ultima. Inoltre, l’attuale governo egiziano è perfettamente consapevole che una vera ed effettiva messa al bando corrisponderebbe a mettere a repentaglio la sicurezza interna del paese. Non è un caso che il 5 settembre vi sia stato un tentato attacco nei confronti del Ministro dell’Interno. Si tratta di avvertimenti che spesso vengono comunicati dall’ala islamica salafita, ovvero l’altra faccia della medaglia dell’estremismo, quella che non si nasconde dietro un abito all’occidentale. Nei giorni scorsi la televisione satellitare Al Arabiya ha reso noto un video di un militante salafita pro-Morsi che diceva chiaramente: “Se un manifestante in piazza Rabia al-‘Adawiyya su dieci si facesse esplodere, l’Egitto verrebbe raso al suolo”.

Il nuovo governo egiziano ha dato dei segnali chiari e forti alla Fratellanza non tanto con l’annuncio dello scioglimento della loro ONG, ma soprattutto con l’arresto dei loro leader principali a partire dalla Guida Suprema Mohammed Badie sino a Khairat Shater, l’uomo più influente, anche dal punto di vista economico, del movimento. Ciononostante la guerra non è vinta. I Fratelli musulmani, abilissimi camaleonti, si stanno già trasformando. Lo scorso luglio, in un tentativo di ricostruire un’immagine positiva,  si è costituto il gruppo “Fratelli musulmani contro la violenza” con l’intento di fare rientrare il caos scatenatosi per la strade dell’intero Egitto. Pur senza volere mettere in dubbio le buone intenzioni dei fondatori, è risaputo che lo zoccolo duro del movimento, come d’altronde comunica chiaramente il logo dello stesso in cui campeggiano due spade e il Corano, non abiurerà mai la violenza in caso di resistenza “lecita” a un “tiranno”, ovvero il Faraone coranico, in questo caso il generale al-Sisi. Lo scorso luglio Mohammad Badie rivolgendosi alla folla durante una manifestazione pro-Morsi al Cairo gridava: “Siamo rivoluzionari, liberi e porteremo a compimento il lavoro”, “lo porteremo sulle nostre spalle, a Dio piacendo, e sacrificheremo le nostre anime”. Parole molto esplicite per chi lo ascoltava che equivalevano a ribadire che nessuno li avrebbe potuti fermare e che avrebbero messo a repentaglio persino la vita. 

La guerra non è vinta poiché se l’attuale governo non si occuperà della miseria nelle città e nelle campagne egiziane, dell’elettricità mancante, di un’istruzione fallimentare, i Fratelli musulmani con la loro rete capillare di moschee hanno già vinto. Le più di centomila moschee egiziane sono le loro principali sedi politiche dalle quali imam predicano, ma soprattutto sono i luoghi che sopperiscono da sempre alle carenze del sistema. Se il sistema pubblico non funziona o è insufficiente la Fratellanza subentra e vince. Anche la comunità internazionale dovrebbe comprendere l’urgenza di avviare politiche, progetti rivolti alla popolazione egiziana, soprattutto quella giovane, dovrebbe, prima di condannare presunti “colpi di Stato”, pensare a inviare aiuti volti a togliere gli egiziani dalla morsa della fame e della disperazione poiché solo così facendo la rete dei Fratelli musulmani morirà di morte naturale, per sempre.