IPOTESI DI LEGGE
Francia, ultima follia: intralcio all'aborto
La gauche francese al governo non si ferma e oggi sottoporrà all'assemblea parigina la proposta di legge di intralcio all'aborto. Chiunque, quindi anche le tante associazioni pro life che offrono supporto, prova a illustrare alla donna una via alternativa all'interruzione della gravidanza rischia fino a due anni di carcere e multe salatissime. Il presidente del vescovi francesi protesta con Hollande.
Vita e bioetica
01_12_2016
Sei una donna incinta e piena di dubbi, che cerca sul web un confronto con altre donne, un consiglio, un incoraggiamento per continuare la gravidanza o anche delle informazioni sulle conseguenze fisiche e psicologiche dell’aborto? Sei il responsabile di un’associazione che cura un sito Internet per aiutare le donne a dire sì alla vita che custodiscono in grembo e per offrire sostegno morale a chi, invece, ha già vissuto l’esperienza dell’aborto e ha realizzato solo dopo quanto sia drammatica? Nel primo caso, potresti non trovare più quell’aiuto che stavi cercando. Nel secondo, rischi fino a due anni di carcere. Ma, se ti va bene, puoi cavartela con una multa di 30 mila euro.
Sono queste le pene contenute nella proposta di legge che l’Assemblea nazionale francese esaminerà oggi, a seguito dell’iniziativa di alcuni deputati della maggioranza, che a novembre hanno ottenuto dal governo il via libera per il suo esame accelerato. Prima rapida considerazione: nella laicissima Francia di questi tempi, l’approvazione di norme per limitare la libertà di espressione è diventata una priorità. Nello specifico, la legge, che consta di un solo articolo, mira a estendere il cosiddetto reato di intralcio all’aborto ai siti web accusati di “indurre deliberatamente in errore, intimidire e/o esercitare pressioni psicologiche o morali al fine di dissuadere dal ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza”.
Seconda considerazione: parlare di “reato di intralcio” rispetto a un male e sottintendere che incoraggiare la donna a far nascere il bambino (questo significa dissuadere dall’aborto) possa configurarsi come induzione all’“errore”, è l’ultimo capolavoro della neolingua che veicola il pensiero unico. È la chiusura del cerchio dello stravolgimento morale avviato tra gli anni ‘60 e ’70. Prima esistevano leggi il cui fine era aiutare a non fare il male, prevedendo un divieto che lo indicava come tale. Poi sono state approvate delle leggi che lasciano la libertà di compiere il male e oggi si cerca di perfezionare questo stravolgimento, introducendo norme che impediscono di fare il bene (in questo senso vanno sia la legge in discussione in Francia sia l’attacco all’obiezione di coscienza).
Di fronte a questa proposta degna di un sistema totalitario, l’arcivescovo di Marsiglia Georges Pontier, presidente della Conferenza episcopale francese, ha scritto a Francois Hollande per esprimere tutta la sua preoccupazione e chiedere un vero dibattito sul tema. “Che lo si voglia o no, l’interruzione volontaria della gravidanza - si legge nella lettera dell’arcivescovo - rimane un atto pesante e grave che interroga profondamente la coscienza. In situazioni difficili, sono numerose le donne che non sanno se tenere o no il bambino che portano in grembo. Sentono il bisogno di parlare, di chiedere consiglio. Alcune, a volte molto giovani, sperimentano un vero disagio esistenziale davanti a questa scelta drammatica, che le segnerà per tutta la vita”.
Nella lettera, monsignor Pontier ricorda che di questo disagio esistenziale vissuto dalle donne c’è sempre meno traccia nella legislazione francese, come dimostra pure la recente riforma del sistema sanitario che ha eliminato il periodo di riflessione di una settimana, previsto in precedenza proprio per consentire alla donna di valutare attentamente l’eventuale decisione di abortire il figlio. Davanti a queste forzature normative, che contraddicono lo stesso principio di autodeterminazione un tempo urlato dagli abortisti (dov’è infatti l’autodeterminazione se vengono eliminati pure gli spazi di riflessione e confronto?), i siti pro-life costituiscono l’ultimo argine in aiuto delle donne incerte, per offrire possibilità di ascolto e, come argomenta Pontier, “il loro successo dimostra che rispondono a un’aspettativa. Molte donne si rivolgono a questi siti dopo un aborto, perché hanno bisogno di un posto dove poter verbalizzare quanto hanno vissuto. Altre perseverano nel loro progetto di abortire, altre ancora decidono di tenere il proprio bambino. Questa diversità di espressione e di comportamento è resa possibile dallo spazio di libertà che questi siti creano”.
Uno spazio di libertà che evidentemente fa a pugni con la cultura della morte veicolata da certi esponenti dell’establishment, che sono arrivati perfino a censurare uno splendido video di sensibilizzazione sulle persone con sindrome di Down, con il pretesto che può “disturbare la coscienza delle donne che, nel rispetto della legge, hanno fatto scelte diverse di vita personale”. Alla luce di tutte queste misure contrarie alla vita, sono del tutto ragionevoli le domande che l’arcivescovo fa nella lettera rivolta al presidente Hollande, evidenziando come l’approvazione di una simile legge comprometterebbe gravemente la libertà di espressione e di coscienza: “Si deve necessariamente escludere ogni alternativa all’aborto per essere considerato un cittadino onesto? Il minimo incoraggiamento a tenere il bambino potrà un giorno essere qualificato come «pressione psicologica e morale?»”.