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LA SITUAZIONE

Francia, non solo banlieue: la guerriglia è trasversale

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Diversamente dal 2005, oggi non sono povertà e quartieri degradati a guidare le rivolte in Francia. La guerriglia è trasversale. Nelle distruzioni sono coinvolti non solo gruppi di magrebini, ma anche ecologisti e sinistra eversiva.

Esteri 06_07_2023

Ultimo baluardo di una Repubblica che barcolla, polizia e gendarmi stringono i denti sperando, ogni mattina da una settimana, che lo tsunami di violenza che sta investendo la Francia s’arresti. I sindacati della polizia d’oltralpe, Alliance e Unsa-Police, in un comunicato congiunto, hanno dichiarato: «Non è più il tempo per l’azione sindacale, ma della lotta contro questi dannosi. (…) Oggi la polizia combatte perché è in guerra». L’ultima aggressione di due agenti a Marsiglia è stata emblematica: uno accoltellato, l’altro con mascella fratturata. «Sono stati molestati e picchiati come cani, non ci sono altre parole», ha commentato su TF1, il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin.

Dalla morte di Nahel non sfilano, distruggono e s’indignano solo i magrebini, ma anche i movimenti ecologisti e della sinistra eversiva. Tutt’insieme. Due giorni fa, la storica libreria cattolica di Nantes, Dobrée, è stata presa d’assalto. Muniti di sampietrini e transenne recuperati dalla strada, un gruppo di ragazzi, che si sono presentati come membri di un movimento di sinistra, racconta il proprietario della libreria, hanno completamente devastato il negozio: «Li ho sentiti mentre ci accusavano di fascismo. È stato incredibilmente violento quello che è accaduto dopo». E, ancora, attivisti di sinistra hanno costretto alla sospensione dell’udienza di 16 persone arrestate durante i disordini di Lione, prendendo d’assalto il tribunale al grido di, «tutti odiano la polizia» e «polizia assassina».

Alla settima notte di rivolte, il bilancio inizia a farsi meno brutale. E con questo s’intendono 94 arresti negli ultimi due giorni, la casa del sindaco di Haÿ-les-Roses presa d’assalto, 116 incendi sulla pubblica via, 78 veicoli bruciati e 8 edifici danneggiati.

Una prima conta parla di almeno un miliardo di danni solo per gli esercizi commerciali, come denuncia Geoffroy Roux de Bézieux, dirigente di Medef, la principale associazione degli imprenditori francesi. Quattrocentotrentasei negozi sono stati saccheggiati, metà dei quali nell’Île-de-France. E mercoledì, i due terzi erano ancora chiusi. Il presidente della Confederazione dei tabaccai stima perdite per 20 milioni di euro. Trecento i punti vendita completamente svaligiati: in Francia una tabaccheria è autorizzata anche a rivendere la cannabis.

È da vent’anni che Parigi teme il ripetersi delle rivolte del 2005 - l’anarchia innescata dalla morte di due minorenni, Zyed Benna e Bouna Traoré, al culmine di un inseguimento della polizia. Quell’incubo s’è fatto realtà con la morte di Nahel, facile pretesto per far uscire le banlieue dormienti dal letargo non poi così lungo. Le stesse che erano esplose, per esempio, durante le rivolte del lockdown nel 2020. Corsi e ricorsi storici.

La guerra a bassa intensità che si consuma in queste ore, e che altro non è che una delle tante manifestazioni della frattura identitaria del Paese, ha già superato in violenza la rivolta del 2005. Allora, i disordini durarono dal 27 ottobre al 17 novembre. Ventuno notti durante le quali 10.346 veicoli vennero dati alle fiamme rispetto ai 5.892 delle prime sei notti di quest’anno. Il numero di edifici pubblici e privati devastati o incendiati oggi è di circa 1.105 in totale, nel 2005 raggiunse quota 307 in tutto; 224 poliziotti e gendarmi furono feriti diciotto anni fa, contro i già 808 di questi giorni; 4.728 persone sono state arrestate durante quei 21 giorni, 3625 solo nelle ultime cinque notti.

Si contano inoltre 12.202 incendi dall’inizio della guerriglia urbana e 270 stazioni della polizia devastate. «Chi si immaginava protetto in metropoli digitalizzate scopre che domani potrebbe trovarsi proiettili veri alle finestre, e che i “giovani” perduti della Repubblica, additati come martiri della Francia postcoloniale e dalla sociologia progressista, entrano nelle città convinti di avere il diritto di depredarle», scrive Mathieu Bock-Côté, il noto saggista e commentatore politico francese.

I più audaci parlano di guerra civile, ma è un po’ impreciso. Una guerra civile si vive all’interno di uno stesso popolo, frantuma le comunità, sostiene Bock-Côté. Invece il conflitto che va in scena in Francia, e a cui assiste tutta l’Europa cercando di non entrare troppo nel merito, vede scontrarsi popolazioni che vivono come enclavi straniere in lotta contro lo Stato che li ospita: una parte della popolazione non giuridicamente straniera, ma che si sente culturalmente tale nel Paese in cui è nata o è venuta a vivere. Sono quei territori che Parigi ha fatto di tutto per portare al suo interno, la famosa “integrazione”, con spese pubbliche faraoniche. Ma ha fallito. E oggi è costretta a usare mezzi sproporzionati per difendersi. Alcuni le raccontano come zone senza legge, in realtà c’è una sovranità, ma è diversa rispetto a quella francese: i famosi “territori perduti della Repubblica” sono prima di tutto territori in cui la Francia è respinta. E dove non c’è più neanche povertà assoluta.

Per sei anni Macron si è presentato come l’argine, l’uomo che avrebbe vinto il pericolo di destra e sinistra ultraradicali di Le Pen e Mélenchon, cancellato il razzismo dei bianchi, risolto il terrorismo islamico che già prima della sua elezione aveva reso la Francia più che vulnerabile, pacificato ogni rapporto con l’islam e sciolto i nodi di banlieue e immigrazione. Sei anni dopo, l’argine non tiene più niente. E se dà la colpa a TikTok per il Paese completamente a ferro e fuoco, Macron sa di avere più che un problema. L’anno scorso è uscito dalle urne senza avere la maggioranza parlamentare, due milioni di voti in meno rispetto al turno precedente, record di astensionismo al 52,8% e senza un partito a guardargli le spalle. Da allora governa forzando, un decreto dopo l’altro: vedi la riforma delle pensioni.

Il tecnocrate, la bella e giovane promessa europea, è stato tradito proprio dalla Francia dei sobborghi, quella che più ha coccolato in questi anni.

Ma non sono povertà e quartieri degradati a sconquassare le piazze. Perché, come ha ricordato Annie Fourcaut, studiosa delle banlieue alla Sorbona, le proteste di oggi sono molto differenti da quelle del 2005 che ebbero come epicentro solo i quartieri poveri. Oggi la guerriglia è trasversale, eppure anche assolutamente prevedibile, conferma la professoressa Fourcaut. E a guidarla non sono squattrinati disperati.

A preoccupare il Ministero dell’Interno è anche la facilità con cui in tantissimi, tra i rivoltosi, sono in possesso di kalašnikov. Da Sahel e Ucraina continuano ad arrivare casse di Ak-47, passando per Spagna, Balcani e Italia, come accadeva già prima della guerra: sono da sempre l’arma preferita delle gang per difendere luoghi e invadere.

Intanto, circa 90 organizzazioni di sinistra hanno convocato manifestazioni per il prossimo sabato per denunciare le politiche discriminatorie dello Stato. Tra queste ci sono Solidaires, Amnesty International France, Greenpeace France, i collettivi locali Earth Uprisings e il Comitato Verità e Giustizia per Adama.
 



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