Francia: incriminati dieci attivisti pro eutanasia
I militanti di Ultime Liberté - associazione pro «dolce morte» - sono accusati di traffico di barbiturici ma non si sono difesi: «Rispetto a questi atti non neghiamo di esserne gli autori. Sappiamo che sono illegali, ma riteniamo non contravvengano ai valori della Repubblica». È il vecchio trucco alla Panella-Bonino: commettere dei reati, farsi processare e poi assolvere.
La notizia è di quelle esplosive, che fanno rumore, e infatti tutti i principali quotidiani d’Oltralpe, da Libération a Le Figaro, in questi giorni ne stanno scrivendo con dovizia di particolari: dieci attivisti pro eutanasia sono stati incriminati.
Si tratta di dieci militanti di Ultime Liberté - associazione pro «dolce morte» - accusati di traffico di barbiturici. I fatti oggetto di contestazione contro costoro coprono un periodo che va dall'agosto 2018 al novembre 2020 e le incriminazioni, con tanto di convocazioni dei dieci da parte della magistratura parigina, avvenute il 3, 4 e 5 marzo, sono accompagnate da molteplici ipotesi di reato.
Complessivamente, secondo fonti giudiziarie, le accuse mosse ai militanti di Ultime Liberté sono varie e vanno dalla «propaganda di favore di prodotti che danno la morte», alla «complicità nell'importazione, possesso e acquisto di piante classificate come psicotrope», fino alla «complicità nel contrabbando di merci pericolose per salute pubblica». Non serve un fine giurista per capire che per tutto ciò si rischiano anni di galera.
Le indagini che hanno portato a questi sviluppi erano iniziate nell’estate 2019, quando le autorità americane avevano avvisato Parigi di destinatari di consegne contenenti pentobarbital, barbiturico ad azione rapida usato per la «dolce morte» nello Stato americano dell'Oregon e dalle associazioni svizzere Dignitas ed Exit, ma che in Francia è vietato dal 1996 e resta disponibile solo per la soppressione degli animali praticata dai veterinari. In totale la magistratura ha individuato 125 francesi acquirenti di pentobarbital, ma l’attenzione, per ragioni legate all’utilizzo che potrebbero fare delle letali fiale, è finita sui militanti Ultime Liberté.
I dieci, che non vanno immaginati come giovani scapestrati ma come persone anche di una certa età - come François Galichet, 78 anni, ex professore di filosofia - sono stati sentiti dai giudici, come si diceva, nei giorni scorsi. E nel presentarsi in tribunale hanno depositato una nota congiunta che, in perfetto stile pannelliano, non è di difesa bensì di fiera rivendicazione dei comportamenti contestati. «Rispetto alla gran parte di questi atti», recita infatti la nota di Ultime Liberté, «non neghiamo di esserne gli autori. Sappiamo che sono illegali, ma riteniamo essi non contravvengano ai valori fondamentali della Repubblica francese».
È il solito, vecchio trucco radicale: commettere dei reati, farsi processare e quindi assolvere – chi delinque in ossequio alla cultura dominante un giudice a Berlino lo trova sempre – per sdoganare determinate condotte sanzionate dall’ordinamento; in questo caso, condotte eutanasiche. Non che in Francia l’eutanasia sia qualcosa di tassativamente non consentito, come provano crimini come l’uccisione di Vincent Lambert (1976-2019), l’infermiere quarantaduenne in stato di minima coscienza condannato a morire da un tribunale.
Ciò nonostante quello che si vede in Svizzera, ecco, i nostri cugini francesi ancora non lo consentono. E qui entra in scena Ultime Liberté i cui attivisti, con le loro prodezze ed atteggiandosi a martiri, ad altro non mirano se non a sdoganare ulteriormente la «dolce morte». Ora, perché simili fatti sono rilevanti anche per noi? Semplice: perché quello che sta accadendo in Francia potrebbe avvenire anche in Italia. La legge sul biotestamento e le assoluzioni di Cappato & Company non sono certo bastate, infatti, a snaturare un favor vitae che resta fortunatamente centrale nella nostra prassi sanitaria.
Anzi, si può dire che la stessa pandemia abbia condotto ad una riscoperta dell’importanza delle cure - dopo anni che a tenere politicamente banco era solo il loro rifiuto - infliggendo un duro colpo anche alla retorica dell’autodeterminazione, fatta a pezzi dai richiami di tanti pazienti Covid, non necessariamente anziani, cui viene impedito di vedere i familiari e che da soli, pur assistiti da medici e infermieri, non ce la fanno. Niente di più facile, dunque, che anche in Italia a qualche militante pro eutanasia venga in menta di emulare le gesta dei colleghi francesi che, facendosi incriminare in dieci, servono ora il loro esempio, anche mediatico, su un piatto d’argento.