Fra Movimento 5 Stelle e Pd continua la lite sulle poltrone
Giorno intenso di trattative fra Pd e 5 Stelle per la formazione del nuovo governo. Prima paiono a un punto di rottura, poi riprendono quota. Ma non è sui programmi che si accende il dibattito, bensì sulle poltrone: sui ministeri chiave e su chi sarà il vicepremier. E si prepara il futuro: nomine, prossimo Presidente e voto regionale emiliano.
Ieri mattina si è sfiorata la rottura definitiva, poi le trattative sono riprese. Ricordano tanto quelle tra Lega e Cinque Stelle per la definizione del contratto di governo. Rispetto a quelle, però, i tempi sono molto più stretti. Il Quirinale vuole tenersi aperta la porta del Piano B: elezioni entro novembre, per evitare che l’Italia non sia in grado di fare una legge di bilancio e possa quindi sfigurare in Europa.
Ma è evidente che sono sicuramente più numerosi coloro i quali, dentro Pd e Cinque Stelle, nel resto del Parlamento e al Quirinale auspicano la positiva conclusione del negoziato tra dem e pentastellati. C’è una grande paura del voto anticipato, che decimerebbe le truppe di Pd e Cinque Stelle, ma anche quelle di Forza Italia e di altre forze minori della sinistra e aprirebbe la strada a una maggioranza sovranista sgradita alle cancellerie europee. La figura di Giuseppe Conte, imposta dai grillini quale premier anche di un eventuale nuovo esecutivo giallorosso e ormai digerita anche da Nicola Zingaretti e soci, continua ad essere l’unica spendibile per evitare lo scioglimento delle Camere. Perfino il presidente americano, Donald Trump ha elogiato l’attuale premier italiano, auspicando che possa rimanere al suo posto.
Le delegazioni di Pd e Cinque Stelle continuano dunque a trattare, mentre Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia spingono per il voto anticipato. Matteo Salvini denuncia il ritorno ai bizantinismi tipici della prima Repubblica e si stupisce del fatto che il suo ex alleato Luigi Di Maio possa sperare di fare le riforme con Matteo Renzi e gli altri piddini che hanno gestito il Paese nella legislatura precedente.
Che cosa divide ancora i due alleati di un possibile governo giallorosso? Ingenuo pensare che si tratti di distanze programmatiche. Di temi e provvedimenti non si parla. Contano solo le poltrone. Il Pd, per non perdere la faccia con i suoi elettori, è pronto a ingoiare Conte premier ma, in nome della auspicata discontinuità, non può accettare che Luigi Di Maio rimanga vicepremier. Conte in casa dem viene considerato grillino per cui, dicono al Nazareno, il vicepremier dev’essere unico e dev’essere Andrea Orlando (o Dario Franceschini). Poi ci sono alcune caselle ministeriali controverse, come gli Interni. Se ci andasse Luigi Di Maio sarebbe paradossale, perché dovrebbe rimangiarsi per intero la linea dura tenuta da Matteo Salvini in materia di immigrazione e pienamente appoggiata dai parlamentari a Cinque Stelle. Al Tesoro ci vuole una figura rassicurante per i mercati, che peraltro nelle ultime ore sono assai tranquilli, dimostrando di fare il tifo per l’intesa Pd-Cinque Stelle e contro un ipotetico ritorno a un governo sovranista tra Carroccio e grillini. Anche gli esteri e la giustizia sono ministeri ambiti da entrambi i partiti in trattativa e quindi lo stallo è dovuto anche a questo.
C’è poi la controversa votazione sulla piattaforma Rousseau circa il gradimento della nuova alleanza con il Pd. Se ne parla ma non è ancora stata indetta. I sondaggi dicono che gli elettori pentastellati potrebbero digerire il cambio di compagni di viaggio in nome della difesa dei temi di bandiera come il reddito di cittadinanza, ma a quanto pare gli iscritti alla piattaforma sono insofferenti e potrebbero addirittura votare contro e bocciare l’ipotesi di intesa con Zingaretti e Renzi. E a quel punto che succederebbe? Ecco perché appare assai probabile il rinvio di tale votazione quando i giochi saranno già fatti e il governo sarà già nato. Sempre che nasca.
Le trattative per la formazione del nuovo esecutivo si intrecciano con altre partite: l’indicazione del nuovo commissario europeo di nomina italiana, che scadeva lunedì e che è stata posticipata proprio per la mancanza di un candidato; la lottizzazione dei posti di potere nelle aziende di Stato (di qui al 2020 scadono o sono già scaduti importantissimi cda tra i quali quelli di Eni, Enel, Poste, Ansaldo e i collegi di alcune Authority come Agcom, Privacy, Anac); le alleanze per le regionali (si parla già di patto di non belligeranza Pd-Cinque Stelle in Emilia Romagna, dove si vota nei prossimi mesi); l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Ecco perché non è facile far quadrare il puzzle, nonostante la sapiente regia del Quirinale, ufficialmente distaccato ma in verità l’ispiratore principale di questo possibile accordo Pd-Cinque Stelle.