Fotografie dall'eterno
Questa è la foto più ravvicinata che ho di Benedetto XVI. La scattai il 26 giugno 2012 quando il Papa venne a visitare le terre martoriate dal terremoto che sconvolse Carpi e Mirandola. A questa foto è legato un piccolo ricordo, ma per me molto significativo. Noi cronisti accreditati eravamo di fianco alla chiesa di Rovereto, che venne scelta come luogo simbolo di quella visita. Il parroco era morto nel corso di una delle tante infinite scosse di assestamento, travolto dal crollo di una trave, mentre cercava di portare in salvo la statua della Madonna. Divenne un simbolo e quando Papa Ratzinger, accompagnato dal vescovo di Carpi Cavina arrivò a Rovereto, l'allora capo della Protezione civile Gabrielli lo portò proprio davanti alla chiesa dove la statua era stata messa in una nicchia per la venerazione del Papa.
Ratzinger scese dal pulmino accompagnato dai vigili del fuoco. Sostò in preghiera pochi minuti, tutto attorno c'erano silenzio e macerie di un paese fantasma, devastato. Dopo la preghiera, avrebbe dovuto voltarsi alla sua sinistra per raggiungere il palco che era stato approntato dove migliaia di fedeli senza casa lo aspettavano. Ma Ratzinger, senza concordarlo con nessuno, decise di girarsi verso destra dove c'eravamo noi cronisti intenti a fotografare e riprendere.
Padre George Ganswein e il vescovo Cavina si diedero un sguardo di smarrimento: “E adesso dove va?”. Gabrielli voleva fermarlo perché il protocollo non prevedeva nessun cambio di percorso, tutto era transennato e prestabilito al millimentro per ragioni di sicurezza. Ma lui fece uno scatto felino e si diresse con passo deciso verso di noi, ingabbiati a nostra volta dietro rigide transenne. I nostri flash si fecero incandescenti. Nessuno di noi si aspettava questo fuori programma, cosìcché, quando ce lo trovammo davanti, le nostre lingue si fecero mute. Invece parlò lui e ci ringraziò: «Grazie per il lavoro che state facendo». Continuammo a scattare foto "a caso" dall'emozione, poi alzò la destra per salutarci, si ritrasse e raggiunse il gruppetto che lo aspettava per il discorso.
Ricordo che quando tolsi l'occhio dalla reflex i miei occhi incrociarono per una frazione di secondo i suoi. Erano azzurri e timidi. Timidi? Come può un Papa essere timido? Eppure, ebbi questa sensazione, forse erano miti, comunque era uno sguardo di semplicità e serenità che veniva sprigionata dal calore di quegli occhi.
Mi sono chiesto spesso perché mai sentì il bisogno di avvicinarsi a noi per ringraziarci, in fondo stavamo facendo il nostro lavoro. Però in quella gratitudine ci vidi anche uno sguardo divino sulle cose. Si ringrazia quando si ha presente il valore di una cosa che viene o donata o condivisa. Dunque, il Papa, il "mio" Papa mi ringraziava perché aveva a cuore anche il mio povero mestieraccio. E' una consolazione e un incoraggiamento quando ti chiedi se quello che fai sia vano o abbia un valore per qualcuno. Per me fu una consolazione che dura ancora oggi.
Oggi ripesco questa foto dall'archivio e mi rendo conto che il mio sguardo su di essa è già cambiato. Prima era un documento che ritraeva un grande della terra che avevo avuto il privilegio di fotografare nel corso di uno dei tanti eventi a cui un Papa può partecipare. Ma alla fine dei conti restava pur sempre una foto, un frammento di un attimo che si infrange di fronte alle barriere dello spazio-tempo.
Oggi, mentre la riguardo, quella foto mi mostra un uomo nuovo, che ha raggiunto l'eternità della Casa del Padre e da là ci guarda con i suoi occhi azzurri. Comincia così - con la comunione dei santi - la preghiera di intercessione. Oggi, davanti a quella foto scattata da me, posso rivolgermi a Benedetto XVI con la confidenza dei figli di Dio e posso pregare in modo nuovo un nuovo santo che speriamo presto salirà i gradini degli altari.
Ho pensato di proporre a mia moglie di stamparla, metterla in cornice e collocarla nel nostro piccolo "pantheon" di famiglia, accanto alle altre immagini di santi che ci fanno compagnia durante l'anno nelle nostre preghiere quotidiane.
«Papa Benedetto, prega per noi». Suona già bene così, sarà una bella avventura.