Fondi russi, il dossier USA un'ingerenza sul voto
Secondo un rapporto dell’intelligence americana, dal 2014 Mosca avrebbe dato 300 milioni di dollari ai partiti di 24 Paesi. L’Italia, precisa il Copasir, «al momento non risulta tra i Paesi coinvolti». Ma il solo annuncio del dossier è bastato per far riesplodere il caso sui presunti legami tra la Lega, che minaccia querele, e i russi. Un’operazione che, a dieci giorni dalle elezioni, puzza.
I sondaggi non ci sono più, almeno ufficialmente. Tuttavia, i rapporti di forza erano e restano abbastanza chiari. A meno di colpi di scena, il centrodestra ha già vinto le prossime elezioni. Impossibile, in dieci giorni, capovolgere l’esito del voto con le sole armi della dialettica e della competizione democratica su programmi e principi. Unico modo per sovvertire il probabile esito del voto popolare è, in senso metaforico s’intende, far esplodere una bomba, vale a dire uno scandalo in grado, almeno in linea teorica, di convincere milioni di potenziali elettori di centrodestra a votare per gli avversari o a non andare a votare.
E così si apprende che ci sarebbero stati – e sarebbe molto grave se fosse vero – partiti di 24 Paesi del mondo che avrebbero ricevuto soldi dalla Russia per portare avanti le proprie battaglie elettorali. Lo dice un rapporto dell’intelligence americana citato dal segretario di Stato Antony Blinken, in cui si precisa che dal 2014 Mosca ha dato almeno 300 milioni di dollari. A chi in particolare? Non si sa. Washington fornirà ai Paesi coinvolti informazioni riservate. Ma in questo momento la bomba scoppia solo in Italia perché solo da noi è imminente l’appuntamento con le urne. Infatti è bastato questo annuncio per far riesplodere nel nostro Paese, in piena campagna elettorale, il casus belli sui presunti legami, anche finanziari, tra alcuni partiti di centrodestra, in particolare la Lega, e gli apparati di potere russo.
Questa incursione del Dipartimento di Stato americano nelle vicende politiche di Stati europei ed extraeuropei non è casuale. Gli Usa sono in gravi difficoltà socio-economiche e devono distogliere l’attenzione internazionale dai loro problemi, alimentando sospetti su chi rischia di intaccare ulteriormente il loro potere, vale a dire i russi e i loro amici e alleati. Il rapporto dell’intelligence getta ombre nefaste sulla regolarità delle elezioni passate e su quelle future e rischia di inquinare l’esito del voto del 25 settembre, avvelenando il clima elettorale.
È dovuto infatti intervenire il Copasir, che domani si riunirà per esaminare questi sospetti di finanziamenti della Russia a partiti di Paesi esteri. Il presidente Adolfo Urso ha subito chiarito che l’Italia «al momento non risulta tra i Paesi coinvolti, ma le cose possono sempre cambiare». Il senatore di Fratelli d’Italia ha tuttavia fatto sapere di aver discusso della questione con l’ex ambasciatore americano alla Nato, Kurt Volker, che l’avrebbe tranquillizzato: «Mi ha dato un biglietto nel quale dice di avere fiducia nel ruolo di Fratelli d’Italia e nell’impegno mio e del partito nei confronti della Nato, nel sostegno all’Ucraina e alle sanzioni alla Russia e sul fatto che Fratelli d’Italia ha zero collegamenti con Mosca». E ha aggiunto: «La Lega e le altre forze alleate del centrodestra in Parlamento hanno sempre sostenuto con il voto tutte le decisioni prese dal Parlamento e dal Governo a sostegno dell’Ucraina, sia per l’invio di armi che per gli aiuti umanitari che per le sanzioni. Lo stesso non si può dire della sinistra».
In effetti il curriculum di molti esponenti della sinistra, da Enrico Letta a Giuseppe Conte passando per l’attuale ministro degli esteri, Luigi Di Maio, è pieno di aperture a Mosca e ai principali amici dei russi, vale a dire i cinesi. Chi si scorda la via della seta, valorizzata dai governi presieduti dall’Avvocato del popolo? E gli affari portati avanti per anni a Londra e altrove dal segretario del Pd con i suoi ex soci cinesi prima di rientrare in Italia per prendersi la rivincita su Matteo Renzi e i dem che lo avevano defenestrato?
Matteo Salvini liquida il rapporto del Dipartimento Usa come «fake news a 10 giorni dal voto» e minaccia querele se qualcuno dovesse fare il suo nome o quello del suo partito. Analoga reazione ha avuto Giorgia Meloni, che adombra il sospetto di manovre elettorali per condizionare l’esito del voto.
Peraltro è dal 1948 che le potenze straniere cercano di incidere con i loro interessi e le loro manovre sul consenso elettorale degli italiani. In questo caso, però, sarebbe opportuno che quei nomi, se presenti nel rapporto del Dipartimento Usa, venissero fatti in fretta. In caso contrario, i vaghi sospetti finirebbero per togliere credibilità all’Italia nel suo complesso e alla sua classe dirigente. Già durante la Guerra fredda si combattevano battaglie a colpi di dossier da parte delle strutture di intelligence delle grandi potenze. Sembra tornato quel periodo. «Gli Stati Uniti stanno ancora una volta tentando di accusare la Russia di ingerenze negli affari interni dei paesi occidentali, in particolare nel processo elettorale. L’assenza di prove non convince. E che cosa sarebbe questo se non uno sfrontato tentativo di manipolare l’opinione pubblica alla vigilia delle elezioni?», scrive l’ambasciata russa a Roma in un post sui suoi canali social, aggiungendo le bandiere di Italia e Russia.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, per decenni, Giorgio Napolitano e i comunisti italiani, grazie all’appoggio anche finanziario dell’Unione sovietica, facevano politica in funzione anti-atlantica. Quelle non erano ingerenze? Anzi, non si sarebbe potuto parlare in quelle circostanze di politica eterodiretta da Mosca? E comunque, nonostante le pressioni di natura ideologica, mai e poi mai durante la Prima Repubblica qualcuno si sarebbe sognato, con un’informazione vaga e frammentata come quella di oggi del governo americano, di entrare a gamba tesa nello svolgimento delle elezioni in un Paese alleato. Gli elettori abboccheranno o, viceversa, capiranno che l’uscita del dossier sui fondi russi a 10 giorni dal voto è tutt’altro che casuale?