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GIORNO DEL RICORDO

Foibe, vittime sacrificate alla "ragion di Stato"

Per celebrare il giorno del Ricordo delle vittime (ieri, 10 febbraio) italiane delle stragi comuniste in Jugoslavia si è dovuto attendere fino al 2004. Perché questo auto-negazionismo? Per un groviglio di ragioni di Stato: la Jugoslavia di Tito, prendendo le distanze dall'Urss di Stalin, era diventato un importante Stato cuscinetto neutrale. Unico caso in cui Dc e Pci si trovarono d'accordo.

I MARTIRI CATTOLICI di Marco Guerra

Cultura 11_02_2017
Vittime riesumate dalle foibe

Il giorno del Ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata - che dal 2004 si celebra ogni anno il 10 febbraio, quando ricorre l’anniversario del trattato di pace firmato con la Jugoslavia nel 1947 – è stato ancora una volta segnato da tensioni e da polemiche. E’ triste ma anche significativo che, a oltre settant’anni dalla tragedia conclusasi con quel trattato, non si riesca ancora a rievocarla senza riaprire ferite.

Pur senza essere per dimensioni paragonabile agli esodi e alle stragi che si registrarono nei territori che nel medesimo periodo la Germania dovette restituire o cedere alla Polonia, all’Unione Sovietica e alla Cecoslovacchia, quanto, tra il 1943 e il 1945, accadde nelle terre giuliane e dalmate, poi cedute alla Jugoslavia con il trattato del 1947, è ugualmente tragico. Ad opera sia di partigiani che di forze regolari jugoslave, vennero massacrate e gettate in cavità naturali, appunto le cosiddette foibe, talvolta mentre erano ancora in vita, migliaia di persone quasi soltanto di nazionalità italiana (il loro numero è stimato tra un minimo di 6 mila a un massimo di 11 mila). Iniziò allora un esodo, terminato nel 1956, che riguardò 250-270 mila persone che in parte si rifugiarono in Italia e in parte invece emigrarono in Australia, negli Stati Uniti o anche altrove in Europa. Per farsi un’idea della loro percentuale sull’insieme degli abitanti dei territori passati alla Jugoslavia basti si consideri che nel 1936 le tre province cedute in blocco avevano rispettivamente: Pola, 294.492 abitanti; Fiume, 109.118; Zara, 23.000. Inoltre la provincia di Gorizia, della quale venne ceduto il grosso del territorio, ne aveva 200.152, la maggior parte dei quali residenti però nella parte rimasta all’Italia. 

Per questi rifugiati, che peraltro preferirono venire definiti esuli, al disagio e al dolore per la casa e per la terra natia perdute si aggiunse anche il peso da un lato dell’ostilità del Partito comunista e dall’altro del silenzio ufficiale imposto dalla logica della Guerra fredda. Essendo in fuga da un Paese a regime comunista gli esuli vennero per lo più bollati dall’apparato del Pci come fascisti irriducibili che avevano perciò rifiutato ad ogni costo di vivere in un mondo migliore. Avendo poi la Jugoslavia di Tito preso le distanze da Stalin e diventando pertanto agli occhi degli Usa un utilissimo “Stato cuscinetto”  tra l’area d’influenza sovietica e l’area di influenza americana, cedendo alle pressioni di Washington i governi italiani a guida democristiana dell’epoca stesero sui giuliano-dalmati e quindi sulla tragedia delle foibe una coltre di silenzio. 

Entra in questa oscura e intricata vicenda anche quella taciuta dei crimini di guerra del periodo in cui larghe parti della Jugoslavia erano state sotto occupazione militare italiana. Benché per estensione e per gravità non ci sia stato niente di paragonabile a quanto accaduto in Istria e Dalmazia tra il 1943 e il 1945, i governatori militari italiani della Jugoslavia occupata, in Slovenia Mario Roatta e in Croazia e Montenegro Alessandro Pirzio Biroli, nonché diversi comandanti alle loro dipendenze, erano passibili di giudizio come criminali di guerra per aver, durante l’occupazione, ordinato fucilazioni di ostaggi, saccheggi e rappresaglie. A norma quindi  dell’art. 45 del trattato italo-jugoslavo avrebbero dovuto essere estradati e giudicati in Jugoslavia.  Essendo ciò divenuto inimmaginabile nel nuovo contesto della Guerra fredda, venne silenziosamente concordato che la Jugoslavia avrebbe lasciato cadere la questione ma in cambio l’Italia avrebbe fatto lo stesso con riguardo ai responsabili dei massacri delle foibe. Divisi su ogni altra cosa, seppur per opposte ragioni in questo sia la Dc che il Pci furono concordi.

A causa di questo groviglio di “ragioni di Stato” alla pena dell’esodo, della perdita delle proprietà e dei luoghi natii  si aggiunse per gli esuli giuliani e dalmati anche quella del misconoscimento e della mancata giustizia. Chi, come noi, per motivi anagrafici ha fatto in tempo a incontrare e conoscere diversi esuli giuliani e dalmati, non può non ricordare il loro particolare disagio. Oltre a essere colpiti dal dramma dell’esodo erano pure esasperati dalla mancata tutela delle loro legittime richieste e dal silenzio ufficiale sulla loro drammatica sorte.  Basti pensare che si dovette attendere fino al 1991 perché un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si recasse in pellegrinaggio all’area monumentale costruita sopra la foiba di Basovizza, l’unica rimasta in territorio italiano. Tutto questo induce a pensare che s’imponga ormai sulla vicenda una completa purificazione della memoria, in assenza della quale la giornata del Ricordo diventa per lo più un’occasione perduta.