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LA SPARATA DEL MINISTRO

Fioramonti, amico di Ravasi e in lotta con il crocifisso

Il ministro dell'Istruzione, che ha lavorato da Soros, lancia la crociata contro il crocifisso nelle scuole subito dopo essere stato a braccetto del cardinale Ravasi. Ma Fioramonti non conosce le leggi italiane e europee che invece sul simbolo dei cristiani sono molto chiare nel riconoscergli uno spazio pubblico. 

Libertà religiosa 02_10_2019

Crocifiggere il Crocifisso, l’Italia non cambia mai. Non che il nostro buon Gesù lo riviva per la prima volta in questi duemila anni e poi lui le pecorelle le voleva riprendere tutte con sé. Invece Fioramonti si è perso nel gregge.  “Un giorno da Pecora”, geniale trasmissione radiofonica, ha tirato fuori il meglio dal Ministro dell’Istruzione che è riuscito in una settimana a partecipare all’evento del Cardinale Ravasi e a cestinare il crocefisso. Il 22 Settembre con il Prefetto Vaticano della Cultura e l’esperto ONU-Vaticano Jeffrey Sachs, il nostro aveva aperto l’evento sulla Chiesa universale e organizzato dal Cortile di Francesco dal titolo In-contro: comunità, popoli, nazioni.

Sette giorni dopo, alla simpaticissima trasmissione radiofonica ha dichiarato di voler sostituire il crocifisso affisso nelle aule scolastiche con un bella cartina geografica del globo terracqueo, non senza aggiungere una personalissima interpretazione del principio di laicità (la scuola deve “essere laica”) e sui simboli religiosi (“un’accozzaglia”)

Ideona geniale, per nulla originale e probabilmente ispirata dal quel sentimento che già l’aveva spinto a promuovere caldamente la prima bigiata autorizzata per l’ambiente venerdì. Non possiamo dimenticare che tra le sue prime decisioni c’è stata quella di posticipare l’insegnamento dell’educazione civica al prossimo anno ma, solo dopo un confronto con docenti e studenti. Aspettiamoci una rivisitazione totale della legge voluta da Bussetti ed una probabile sostituzione della Costituzione Italiana con i testi dei discorsi di Greta Thunberg, dei nuovi esperti ministeriali sullo sviluppo sostenibile (Vandana Shiva, Jeffrey Sachs, Enrico Giovannini) e di ogni gender e transgenderismo di cui è capace la mente umana. Un inizio di mandato da Scherzi a parte. Non scherziamo invece sul crocifisso nelle aule scolastiche e che dovrebbe campeggiare anche in quelle dei tribunali come in ogni ufficio pubblico. Non chiediamo l’inno di Mameli, come per altro si fa anche nella Francia di Macron, ma non accettiamo scherzi su Gesù Cristo crocifisso, simbolo di redenzione e del riscatto della umanità, credente e non credente, e segno culturale proprio della cultura e storia nazionali.

Non facciamo una colpa al Ministro se non ha avuto tempo di venire a conoscenza, nel periodo dei suoi impegni professionali alla Università di Pretoria o alle Fondazioni Rockfeller e all’OpenDemocracy di Soros, dei trascorsi che ha dovuto subire recentemente il crocifisso nel nostro Paese ed in sede europea. Dispiace che non si sia informato, prima di prefigurare future censure verso Gesù Crocifisso. Le reazioni di coloro che hanno cercato di rappezzare l’uscita del Ministro dicendo che “è un argomento divisivo”, sono “polemiche inutili” o invitandolo a “non ingolfarsi”.

Peggio mi sento! Le sentenze di tribunali nazionali e della Suprema Corte Europea dei Diritti Umani, dal 13 febbraio 2006 al 18 marzo 2011 hanno ben chiarito che “nei paesi a tradizione cristiana, il cristianesimo possiede una legittimità sociale specifica che lo distingue dalle altre credenze filosofiche e religiose”. Poiché l’Italia è un paese di tradizione cristiana, il simbolo cristiano può legittimamente avere una visibilità preponderante nella società. Al Ministro consegnamo la sentenza della Gran Camera, così da leggersela o affidarla ad uno studio dei suoi collaboratori. Quanto al principio di laicità, già invocato dal Premier nel suo discorso estivo del 20 agosto scorso  e ripreso maldestramente da Fioramonti per giustificare la censura di Gesù in croce e la sostituzione con il globo terracqueo, ricordiamo che il “principio di laicità”, ancora recente in Italia, è stato definito e consacrato come principio costituzionale con una sentenza della Corte Costituzionale del 1989 (Sentenza n.203 del 12 aprile 1989) nella quale si chiarisce che esso “non significa indifferenza dello Stato verso le religioni, ma salvaguardia della libertà religiosa, in un regime di pluralismo culturale e confessionale” ma è invece un atteggiamento “aperto e inclusivo, più vicino all’equidistanza, e rispettoso della distinzione e dell’autonomia tra gli ambiti temporali e spirituali, senza privatizzare e senza escludere la religione dall’ambito pubblico”.