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REGGIO EMILIA

Finalmente un vescovo tuona contro le messe sacrileghe

Il parroco affida le parole della consacrazione ad un laico. E il vescovo interviene tuonando contro i sacrilegi a messa. Succede a Reggio Emilia dove Massimo Camisasca pubblica una lettera molto dura sugli abusi e il rispetto delle norme liturgiche: "Dovremo risponderne davanti a Dio". Una mossa impopolare, ma giusta. E che conferma il diritto-dovere del fedele di protestare.

Editoriali 10_02_2019

“E’ gravemente illecito associare i fedeli alle parole del Canone e addirittura chiedere loro di pronunciarne qualche parte. La celebrazione diventerebbe invalida quando fossero i laici a pronunciare le parole della Consacrazione”.  

Un forte richiamo al corretto uso della liturgia durante la Santa Messa e un appello a cessare le liturgie creative fatte dai preti è quello che il vescovo di Reggio Emilia e Guastalla Massimo Camisasca ha recapitato a tutti i sacerdoti e ai fedeli nel settimanale diocesano La Libertà. 

Una lettera sulla liturgia, dunque, per fermare quei preti che intendono la messa come cosa loro, di cui poter disporre a piacimento. In questi anni ne abbiamo sentite di diversi colori, in Italia e nel mondo: preti che non dicono il Credo o lo inventano, parti della messa affidate a laici o a esponenti di altre confessioni religiose, show di ogni tipo durante la celebrazione. Il catalogo delle messe creative rappresenta una ferita nel cuore stresso della Chiesa, la celebrazione dell’Eucarestia e la campagna della Nuova BQ #salviamolamessa lo ha mostrato molto bene. Ma di fronte a questi episodi, spesso ostentatamente pubblicizzati dai sacerdoti, si è iniziato a fare finta di nulla. Questo ha provocato grave scandalo nei fedeli e il pullulare di messe sempre più creative e sempre più dissacranti. 

In questo senso la lettera di Camisasca ai suoi preti, una lettera di richiamo a tutti gli effetti, assume un valore importante di ristabilimento del diritto. Anzitutto, quello di Dio ad essere adorato come chiede e in secondo luogo il diritto dei fedeli a partecipare ad una sacra liturgia proficua per la propria salute spirituale. Diritto che le iniziative di preti creativi e sciatti calpestano bellamente a volte con l’arroganza dei potenti. La lettera dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che protestare con il vescovo quando si assiste ad abusi e violazioni gravi nella liturgia, serve ed è utile. Come confermava sulle nostre colonne anche il cardinal Muller a proposito del diritto di protestare con il sacerdote che abusa del suo ruolo fino addirittura ad andarsene se la celebrazione diventa palesemente invalida. 

La missiva pubblica infatti nasce a seguito di una serie di segnalazioni pervenute a Camisasca circa il comportamento di alcuni sacerdoti diocesani. Il riferimento infatti alle parole della consacrazione affidate ai laici è legato ad un episodio che è stato segnalato al vescovo da un fedele: un sacerdote, durante la messa del 1 gennaio, ha affidato la lettura del Canone a una fedele, donna!

Il motivo? Nella segnalazione si dice che il prete avrebbe accampato la scusa di essere stanco. Chissà, forse i festeggiamenti della notte precedente del Veglione di San Silvestro lo avevano costretto a fare le ore piccole? O forse ha voluto dare un segnale di una nuova forma di concelebrazione mista? Sia come sia, il fedele, che aveva sentito la cosa soltanto riferita, ha chiesto conferma prima di tutto al vescovo. E per sicurezza ha inoltrato la missiva anche alla Congregazione del Culto divino e poi alla Congregazione per la dottrina della fede. Non sappiamo se Camisasca abbia verificato la notizia, né se abbia ricevuto conferma di quell’episodio specifico. Ma dal monito nella missiva sulla consacrazione affidata ai laici pare proprio di sì. Anche a giudicare da quello che il vescovo dice successivamente: “Mi permetto di ricordare tutto ciò, che penso ovvio per la stragrande maggioranza di tutti noi, perché sento e vedo qua e là serpeggiare confusioni o manifestazioni erronee a riguardo di ciò di cui ho finora parlato”. 

Importante poi la chiusa finale: “Desidero che il popolo cristiano non sia mai confuso e disorientato nella sua fede. E’ una grave responsabilità che tutti abbiamo e di cui dovremo, io per primo, rispondere a Dio”. Parole certamente gravi, che arrivano a conclusione di un documento denso di riferimenti dottrinali sul significato, il valore e la sacralità della santa messa. Come ad esempio la Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium della quale molti preti hanno letto probabilmente soltanto il cosiddetto spirito e non la sua lettera dato che in essa non vi si trova nessuna concessione alle arbitrarietà e agli abusi a cui poi nei successivi 50 anni abbiamo assistito e che - tanto per dirne una - venne firmata addirittura da monsignor Lefevbre.

Resta il fatto che di fronte a un sacrilegio vero e proprio come quello compiuto a Reggio Emilia, il vescovo abbia sentito il bisogno di alzare la voce per riparare un delitto così grave. Un atto di coraggio e per certi versi profetico, che indica qual è il bene principale che si gioca nella messa. Un bene del quale i preti non possono disporre arbitrariamente e del quale un giorno si dovrà rispondere di fronte a Dio.