Figlio su misura. Una sentenza contro la Legge 40
La Legge 40 vieta che le coppie fertili possano sottoporsi a Fivet e vieta la diagnosi pre-impianto per scopi eugenetici. Ma i signori Pavan possono accedere a entrambe in una struttura pubblica, forti della sentenza del Tribunale di Roma.
Riassunto dell’ultima puntata che avevamo “mandato in onda” lo scorso settembre (“I giudici aggirano la Legge 40”). Dopo una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e una del Tribunale civile di Roma, i signori Pavan, portatori di fibrosi cistica, hanno potuto accedere alle tecniche di fecondazione artificiale e alla diagnosi pre-impianto nonostante non siano sterili né infertili. La Legge 40 vieta che le coppie fertili possano sottoporsi a Fivet e vieta la diagnosi pre-impianto per scopi eugenetici. Infatti i signori Pavan volevano un figlio in provetta proprio perché tale tecnica permette di verificare se l’embrione è affetto da qualche patologia e, in caso positivo, scartarlo, finché dopo cicli e cicli si ottiene quello sano. La sentenza ha fatto scalpore non solo perché permette condotte contrarie al dettato legislativo, ma anche perché il giudice non ha nemmeno pensato di sottoporre, come era doveroso, gli articoli della Legge 40, che lui ha violato, al sindacato di costituzionalità presso la Consulta. Insomma è andato dritto per la sua strada infischiandosene della legge e della Corte costituzionale. Quest’ultima ovviamente non ha battuto ciglio, tanto meno il Consiglio superiore della Magistratura.
Veniamo alla puntata odierna. Per la prima volta – questa è davvero una sentenza che batte ogni record – la diagnosi pre-impianto verrà effettuata presso una struttura pubblica: l’Unità operativa di fisiopatologia della riproduzione del centro Sant’Anna, diretta dal professor Antonio Colicchia. Il fatto che sia coinvolta una struttura pubblica non è di poco rilievo, come commenta il presidente della commissione Politiche e sociali del consiglio regionale del Lazio, Rodolfo Lena: «Si apre così una nuova strada per tante coppie, con l’ulteriore buona notizia costituita dal fatto che il Sistema sanitario regionale farà certamente da calmiere rispetto ai costi molto elevati della diagnosi genetica pre-impianto». In breve: le coppie sborseranno meno soldi e la collettività di più. E in tal modo si apre un’altra scorciatoia per accedere alla fecondazione artificiale.
L’accaduto ha fatto poi emergere un’interessante notizia che deve essere però scovata tra le righe di quanto dice il dott. Colicchia: «Questa sentenza supera le resistenze dei centri pubblici ad effettuare PGD [diagnosi genetica pre-impianto]». Detta così pare avvalorare il fatto ci sia qualcuno – le strutture private - che invece non fa alcuna resistenza ad effettuare diagnosi pre-impianto a scopo eugenetico, pratica vietata dalla legge come ricordavamo sopra. Ed infatti il Corriere della Sera lo dà per assodato: “La PGD è largamente utilizzata nei centri privati di fecondazione assistita”.
La notizia è stata ovviamente ripresa dai maggiori media i quali, per par condicio e come di solito si usa, sono andati ad intervistare gli entusiasti e i delusi della decisione del Tribunale di Roma. I secondi spesso vestono la maglia di “cattolici”. Questi ultimi possono essere divisi in due insiemi. Ci sono gli specialisti del pianto greco, quelli che, bontà loro, credono che basti dire e ribadire che la Legge 40 è stata vilipesa per sperare che qualcosa cambi. È come credere che siano sufficienti le leggi e le sanzioni previste da queste per mettere fine a furti e omicidi. Invece servono anche le forze dell’ordine per far rispettare la legge. Cioè, rubando una fraseologia cara ai questori, sono necessarie azioni concrete di prevenzione e repressione del crimine. Tradotto nel nostro caso, servono battaglie come quelle che stanno conducendo i radicali, ma ovviamente alla rovescia.
Le principali vittorie giurisprudenziali sui principi non negoziabili – dal caso Eluana ai signori Pavan – sono state promosse perlopiù dall’Associazione Luca Coscioni nella persona dell’avv. Filomena Gallo. Senza queste iniziative partorite dai radicali non sarebbe mai passato per la mente ai vari Beppino Englaro e Costa-Pavan di ingaggiare battaglie giuridiche così lunghe ed estenuanti per averla vinta. Questo insegna che anche i giuristi cattolici dovrebbero, da una parte, essere fastidiosi come zanzare e puntuali come le cartelle esattoriali nel difendere quelle persone che sono state vittime, ad esempio, della 194. Patrocinando, per esemplificare, cause di donne che dopo un aborto hanno sofferto la sindrome post-abortiva, dato che non sono state informate prima dell’intervento di questo rischio. O difendendo i medici obiettori dagli innumerevoli attacchi che stanno subendo a tutti i livelli. Tale atteggiamento da guastafeste è oggi incarnato da pochissime realtà associative, ad esempio dai Giuristi per la vita.
Torniamo al cattolico che piange per l’agonia che sta patendo la Legge 40: il suo atteggiamento è quello di brandire gli scampoli di questa legge per impaurire gli avversari. E questi come rispondono? Ovviamente non cadono nel tranello, cioè non decidono di giocare la loro partita sul piano delle correttezza giuridica delle sentenze giurisprudenziali: sanno bene che i magistrati hanno disapplicato bellamente la legge. Invece spostano l’attenzione dei media sui “diritti civili”, che nell’immaginario collettivo valgono ben più dell’ossequio meramente formale alla legge. Parlare di libertà, autodeterminazione, diritto alla salute e felicità di coppia mette all’angolo il cattolico piagnone e conquista consensi immediati.
Ma, come accennato, vicende come quella dei coniugi Pavan fanno uscire dalla tana un altro personaggio del mondo cattolico: il minimalista. Costui minimizza e afferma che questa sentenza vale solo per il caso specifico e che mai più si ripeterà. State calmi, va tutto bene e niente è cambiato, lo si sente giurare. Vengono in mente gli appelli tranquillizzanti lanciati dallo staff della Costa Concordia all’indirizzo dei passeggeri quando quest’ultima era ormai piegata su un fianco e imbarcava acqua da ogni dove. Insomma, la casa va in fiamme, ma dopotutto è ancora in piedi. Perché dunque chiamare i pompieri?