Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL CASO

Ferro testimonial in Cattolica: due stonature per un invito

Per promuovere un master postlaurea, l'Università Cattolica ha chiamato come testimonial il cantante Tiziano Ferro. Ma l'invito ha due stonature: gli atenei sono ormai a caccia di clienti e ragionano in termini di marketing. In secondo luogo il suo essere omosessuale e frontman della causa Lgbt lo pone in rotta di collisione con il portato culturale e dottrinale della Chiesa cattolica. 

Attualità 13_06_2020

L’università Cattolica lancia la prima edizione dell’Open Week Master & Postlaurea. Dall’11 al 26 giugno si terranno via web incontri e tavole rotonde per illustrare le proposte formative postlaurea dell’Università del Sacro Cuore.

Chi ha aperto le danze? Un cardinale, un vescovo, un teologo, un laico impegnato, un premio nobel, un super ricercatore? Nessuno di costoro, bensì Tiziano Ferro che in un breve video intitolato «Fai crescere la tua aspirazione» –  video dai contenuti anche apprezzabili – ha salutato gli studenti spronandoli a non mollare mai e a realizzare i propri sogni.

Cosa stona nella scelta di aprire questo Open Week con l’autore di Sere nere? Almeno due cose. La prima. Ormai gli atenei sono diventati come delle pizzerie a caccia di clienti. Dunque in questa prospettiva ha sicuramente più appeal un cantante che un cattedratico. E infatti a presentare il master Fare Radio hanno invitato Luca Bizzarri, attore e conduttore televisivo. Vecchia strategia di marketing che si può applicare senza bisogno di seguire un master in comunicazione d’impresa: usa come testimonial del prodotto che vuoi vendere un volto noto. Spiace questa scelta soprattutto perché la Cattolica non ha bisogno per farsi pubblicità di questi vip, essendo sufficienti il suo autorevolissimo pedigree, i risultati della ricerca scientifica accumulati negli anni, i piani formativi, la collaborazioni con prestigiose istituzioni italiane e straniere e la qualità assai elevata del suo corpo docente. Il rischio è quello di svalutare tutto questo patrimonio culturale e scientifico.

Secondo nota stonata che a molti sembrerà invece intonatissima. Tiziano Ferro è dichiaratamente omosessuale. Non solo: è unito civilmente in Italia con il compagno Victor Allen e “sposato” con lui a Los Angeles, desideroso di crescere un bambino con il compagno e più volte si è presentato come frontman della causa LGBT. Non vogliamo qui discettare se l’omosessualità sia condizione moralmente accettabile oppure no, ma vogliamo solo sottolineare che invitare in un ateneo, che sin dal nome si dice cattolico, una persona che apertamente e liberamente abbraccia una condizione e una condotta di vita che è oggettivamente in rotta di collisione con il portato culturale e dottrinale della Chiesa cattolica è quanto meno incoerente. È come invitare un macellaio alla inaugurazione di un ristorante vegano. Non c’entra nulla.

C’è poi da aggiungere che all’incoerenza si somma il pericolo di scandalo, non nel senso che la scelta della Cattolica potrebbe colorare di rosso porpora le gote di studenti, genitori e corpo docente – non viviamo di certo nel Paese delle Meraviglie –  bensì nel senso che molti sarebbero indotti a concludere che se un ateneo cattolico invita una persona che è apertamente omosessuale e promuove l’omosessualità allora vuol dire che cattolicesimo e omosessualità possono andare d’amore e d’accordo e che la Chiesa finalmente si è liberata dalla sua eteronormatività, si è aggiornata ed oggi benedice l’omosessualità.

Queste ultime due riflessioni non sono mere opinioni del sottoscritto pennaiolo – se fossero solo tali meriterebbero di riposare in un cestino – bensì esplicitano la disciplina canonica relativa alle università cattoliche. Infatti al paragrafo 1 del canone 810 del Codice di Diritto Canonico possiamo leggere: «È dovere dell'autorità competente secondo gli statuti provvedere che nelle università cattoliche siano nominati docenti i quali, oltre che per l'idoneità scientifica e pedagogica, eccellano per integrità di dottrina e per probità di vita, e che, mancando tali requisiti, osservato il modo di procedere definito dagli statuti, siano rimossi dall'incarico». Si obietterà che il Ferro non è docente alla Cattolica. Questo è vero, ma per analogia possiamo dire che se un professore deve avere idee e condotte confacenti all’insegnamento della Chiesa, parimenti questi requisiti devono essere richiesti a chi sponsorizza i corsi di una università cattolica perché è con la sua faccia che l’ateneo si presenta al mondo.

Inoltre questa obiezione si supera anche citando il secondo paragrafo del medesimo canone che così recita: «Le Conferenze Episcopali e i Vescovi diocesani interessati hanno il dovere e il diritto di vigilare, che nelle medesime università siano osservati fedelmente i princìpi della dottrina cattolica». Invitare uno sponsor delle rivendicazioni LGBT non ci pare un atto di fedeltà ai «principi della dottrina cattolica». Vero è che oggi molti in casa cattolica sono di manica larga, ma possiamo riconoscere la larghezza delle loro maniche proprio perché le regole delle verità morali sono, ahinoi, strette. E a queste noi dobbiamo attenerci, non ai costumi e alle sensibilità diffuse che largheggiano in quanto a sconti ed eccezioni.

Si rimanda al mittente anche una seconda, scontatissima ed assai abusata obiezione: abbiamo chiamato Tiziano Ferro come gesto di accoglienza verso una persona omosessuale. Posto che questa sia l’intenzione – e accettandola accettiamo pure di diventare ingenui come Cappuccetto Rosso – le modalità non sono consone al fine, ossia così facendo si provocano più danni che benefici. Esprimendoci in differenti termini, il fine di mostrarsi inclusivi verso il cantante pop poteva essere perseguito con altre modalità che evitavano palesi incongruenze con il mandato della Cattolica e il pericolo dello scandalo: il cappellano poteva e può ancora adesso invitarlo a fare con lui una chiacchierata in privato (e non in pubblico), i docenti più sensibili alla conversione dei lontani potrebbero intrattenere con lui un rapporto epistolare e via dicendo. In parole povere, tirar fuori dal cilindro il coniglio della inclusività appare, almeno ai meno sprovveduti, come una deplorevole scusa.