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FRATELLI MUSULMANI

Fatwa di al Qaradawi contro le elezioni in Egitto

Il 26 e il 27 maggio prossimi si voterà in Egitto per eleggere il nuovo presidente. I grandi esclusi (per legge) sono i Fratelli Musulmani. E giunge in loro soccorso il teologo Yusuf Qaradawi, che con una fatwa delegittima il voto.

Esteri 16_05_2014
Al Qaradawi

Il 26 e il 27 maggio gli egiziani dovranno recarsi alle urne per scegliere il nuovo presidente e dovranno scegliere tra due candidati: il favorito ‘Abd al-Fattah al-Sisi e Hamdin Sabahi del Fronte Popolare Egiziano. Nonostante l’esito scontato, anche se saranno molto interessanti le percentuali ottenute e soprattutto i dati dell’affluenza alle urne, la campagna elettorale è nel vivo ed è accesa.

I grandi assenti, meglio i grandi esclusi, sono i Fratelli musulmani ovvero i protagonisti indiscussi delle prime tornate elettorali, sia legislative che presidenziali, successive alla Rivoluzione del Loto. Ormai messi al bando, dichiarati organizzazione terroristica, incarcerati, processati e condannati sono diventati non solo gli acerrimi nemici del “traditore” della rivoluzione e dell’attore principale di quello che loro definiscono il “golpe militare” (al-inqilab al-‘askari) ovvero al-Sisi, ma più in generale del processo elettorale stesso.

L’11 maggio 2014 Yusuf Qaradawi, teologo di riferimento dei Fratelli musulmani ha dichiarato a latere di una conferenza a Doha, in Qatar, che partecipare alle prossime elezioni è illecito (haram). Ed ha altresì aggiunto che al-Sisi è appoggiato da Israele: “Ci sono persone come Ehud Barak che dicono di votare per Sisi, Sisi è il nostro uomo, Sisi è nostro non vostro.” Quindi la sentenza di Qaradawi è chiara: astensione, ma in caso di voto votare Sabahi.

Mashari al-Dhaydi, sul quotidiano arabo internazionale Al-Sharq al-awsat, ha illustrato i retroscena della fatwa anti-elettorale: “Qaradawi non vuole che si tengano le elezioni presidenziali in Egitto. Motivo: i Fratelli musulmani sono fuori gioco.”

Il gesto di sfida di Qaradawi ha trovato immediate reazioni da parte degli ambiti islamici cairoti. Il 13 maggio l’università islamica di al-Azhar ha definito la fatwa come “estremista e bizzarra”. Il giudizio della principale istituzione islamica egiziana è stato in seguito confermato dallo shaykh Muhammad Mukhtar, ministro degli Awqaf, che ha ufficialmente consigliato di “portare Qaradawi da uno psicologo”. Mukhtar ha commentato: “Qaradawi ha perso il lume della ragione, perché è venuto a meno il potere dei Fratelli musulmani in Egitto. Ha iniziato a emettere una serie di fatwe “mirate” che appoggiano il terrorismo e invitano alla corruzione. […] Il dolore dello shaykh non si limita alla perdita di potere dei Fratelli musulmani, nemmeno alla richiesta di allontanarlo dal consiglio degli ulema di al-Azhar, ma riguarda altresì le sue ricchezza personali in Egitto”.

Il ricorso all’arma della fatwa è senza dubbio una reazione alle dichiarazioni recenti di al-Sisi circa la propria religiosità, la stessa religiosità che aveva fatto sì che venisse scelto da Mohammad Morsi come capo delle Forze Armate. I Fratelli musulmani che dopo il cosiddeto golpe giorno lo avevano accusato di tradimento, di usare la religione per i propri fini personali e per conquistarsi l’elettorato, si sono trovati a dovere accettare una risposta decisa, semplice e chiara: “Sono un egiziano nazionalista e musulmano che merita la fiducia dei suoi concittadini”. Come ha sottolineato l’editorialista Abd al-Rahman al-Rashed, al-Sisi “non ha usato l’islam, bensì si è difeso dalle loro accuse di avere distrutto moschee, di avere incarcerato dotti religiosi, di avere privilegiato i copti”.

Ma il commento più interessante, e che dovrebbe fare riflettere sull’importanza che spesso viene attribuita, sia nel mondo islamico che in Occidente, alle fatwe, è quello di Saad al-Din al-Hilali, docente e preside della Facoltà di diritto comparato all’Università di al-Azhar. Dopo avere dichiarato che la fatwa di Qaradawi “devia dalla sharia perché la partecipazione al processo elettorale è un dovere nazionale”, precisa che “la sua fatwa esprime solo la sua opinione, perché nell’islam non esiste l’”uomo di religione”, esistono l’uomo di legge e l’uomo di scienza […] Ogni opinione legale […] non esprime una costrizione, ovvero la fatwa di Qaradawi che vieta la partecipazione alle elezioni esprime solo la sua opinione. Qaradawi si è attribuito la facoltà che ha solo Allah di rendere lecito e illecito”. Al-Hilali ha così chiarito quella che è la vera natura della fatwa che è un responso legale con valore universale, ma non coercitivo proprio in quanto espressione di un ragionamento personale.

Le parole del docente di al-Azhar e quanto è accaduto non solo in Egitto, ma anche in Siria dovrebbero servire da monito sia al mondo islamico, affinché non cada nella trappola delle cosiddette guerre di fatwe che hanno sempre più valore politico e strategico piuttosto che valore religioso, sia al mondo occidentale affinché non attribuisca a persone come Qaradawi, presidente del Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca con sede a Dublino, più valore di quanto non abbiano. Le parole di al-Hilali ci riportano a sottolineare e a correggere l’errore in cui spesso incorre l’occidente: gli imam non sono sacerdoti e l’islam non ha un’autorità dirimente come il Papa. Gli egiziani lo sanno benissimo e andranno a votare ugualmente per dimostrare, speriamo per l’ultima volta, di sapere distinguere tra il musulmano che fa il politico e lo pseudo-musulmano appartenente all’islam politico dei Fratelli musulmani.