Fascismo e antifascismo, una riflessione necessaria
Archiviato anche il 25 Aprile di quest’anno, è bene ricordare la lezione di Augusto Del Noce sulla mutazione, a fini ideologici, del termine “fascista”.
Caro Direttore,
archiviato anche questo 25 Aprile, forse una riflessione su cosa siano davvero oggi fascismo e antifascismo sarebbe opportuna e anche necessaria.
Penso che ricordare su questo tema la lezione di Augusto Del Noce possa realmente essere, per tanti cattolici, una operazione di "risveglio": risveglio vero però, non quello farlocco oggi tanto in voga.
Con la sua abituale lucidità, già nei primi anni Settanta, Del Noce aveva riconosciuto che il termine fascismo aveva subito una sostanziale mutazione: fascista non era più solo il "nostalgico" di uno specifico regime politico; allora chiunque si opponesse al "progresso" , in quel particolare momento rappresentato dai "nuovi diritti" come divorzio o aborto, diventava nemico della libertà, reazionario, nostalgico, ergo fascista (per una conferma empirica di questa realtà chiedere a chi in quegli anni ha partecipato “dalla parte sbagliata” alle campagne sui referendum).
La professione di antifascismo - presupposto per ogni legittima azione politica - nella nuova interpretazione fatta propria dal Pci e dalla sinistra tutta, richiedeva in particolare ai cattolici di rinunciare ad ogni fondamento trascendente nell’affermazione o nella difesa di una certa idea di società, di etica, eccetera, in quanto solo il consenso democratico aveva il potere di conferire valore a scelte, comportamenti, leggi.
Iniziava la parabola del progressismo politico cattolico e la sua docile subordinazione all’egemonia culturale del marxismo gramsciano, bollato da Del Noce come un «neoclericalismo in cui confluiscono cattolici senza fede e comunisti senza fede, la mancanza di fede servendo da cemento».
Del Noce giungeva così ad individuare nella parabola culturale di fascismo e antifascismo una sostanziale continuità, in quanto essi mirano e si incontrano in un obiettivo comune: la fine di ogni trascendenza e di ogni dimensione religiosa non relegata nel privato e la secolarizzazione della società: in sintesi Gentile e Gramsci fratelli di latte e la trasformazione del Pci in un "partito radicale di massa".
E questo è talmente vero che oggi per dirsi antifascisti non è sufficiente il ripudio e la condanna netta di un’esperienza storica e di un movimento politico che si impose violentemente e governò con altrettanta violenza l'Italia fra il 1922 e il 1945, affermazione su cui nessuno dotato di capacità di intendere e volere oggi può porre obiezioni.
Oggi si è antifascisti solo a condizione di proclamarsi figli di una cultura laica, fluida, che non ammette verità assolute o leggi naturali, ma riconosce e accetta solo i valori affermati e ammessi pro tempore dal potere dominante (o in subordine dalla Costituzione purché letta e interpretata nel modo del tutto consono al politicamente corretto).
Tanto che in questo senso anche la sola affermazione dell’esistenza di “principi non negoziabili” diventa di fatto una forma di violenza, ergo fascismo: TalebanVatican.
Orbene mi chiedo: possiamo continuare a lasciare che si diffonda e si imponga una simile manipolazione storica e culturale?
E accettare che QUESTO antifascismo abbia la pretesa di essere elemento di unità e coesione del nostro popolo?
omo salvatico