Farsi uccidere per donare organi, l'eutanasia corre veloce
Candidati all'eutanasia e donatori di organi: la cosiddetta "eutanasia del buon samaritano" è già praticata in Belgio, Paesi Bassi e Canada, ma un articolo scientifico spiega come si allargheranno le possibilità di questa pratica per aumentare la disponibilità di organi da espiantare: anzitutto prevedendo l'inizio del processo eutanasico in casa per agevolare i potenziali donatori; poi puntando su malati mentali e depressi: corpi sani e giovani, ottimi per il trapianto, poco utili in una persona insana.
- CANADA, PRIMO STATO EUGENETICO, di Luca Volontè
Viene praticata ormai da anni, soprattutto in Belgio, Paesi Bassi e Canada. Potremmo definirla l’eutanasia del buon samaritano. Si tratta di questo: il paziente chiede un trattamento eutanasico e poi fa sapere che donerà i propri organi.
L’eutanasia in alcuni paesi corre così veloce che ormai non si discetta più se la «dolce morte» sia eticamente accettabile o meno, non si discute nemmeno più se l’eutanasia a cui segue il trapianto non diventi un’eutanasia a scopo trapianto, con relative spintarelle al futuro de cuius affinché si decida a tirare le cuoia per il bene dell’umanità. No, ormai il focus della discussione si è spostato ben oltre: questi buoni samaritani è bene che muoiano a casa o in ospedale? Gli organi prelevati a caldo sono di migliore qualità seguendo il primo o il secondo protocollo?
Su tale tema la rivista scientifica Jama Surgey ha pubblicato un articolo nel febbraio scorso dal titolo: «La donazione di organi post eutanasia iniziata a casa è praticabile». Gli autori, Johan Sonneveld e Johannes Mulder, descrivono così il protocollo dell’eutanasia a domicilio in vista di un successivo trapianto: «Il paziente viene sedato solo a casa, il che segna l'inizio dell'eutanasia in termini legali, ma ha lo scopo medico solo di rimuovere la coscienza mentre le funzioni vitali sono mantenute e protette. L'induzione del coma e l'inizio della fase agonica avvengono successivamente nel reparto di terapia intensiva dopo gli addii a casa e il trasporto». Quanta cura nell’uccidere le persone: che il tutto avvenga nel rispetto della legalità, degli affetti e degli scopi clinici volti a preservare preziosi organi da espiantare.
Poi l’articolo vira verso il pietismo, uno degli ingredienti di base dell’ideologia eutanasica: «Suggerire che l'eutanasia debba avvenire in ospedale non tiene conto dei desideri più profondi di questi donatori: esseri umani malati, stanchi dell'ospedale che hanno deciso di porre fine al loro dolore nel comfort e nell'intimità della propria casa». Lo sottolineiamo ancora: il pomo della discordia non è più «Eutanasia sì» versus «Eutanasia no», ma è dove è meglio compiere l’assassinio.
Gli autori poi così proseguono: «Sostenere la necessità di una degenza ospedaliera allontanerà molti potenziali donatori». Siamo nel pieno di una strategia di marketing: occorre tranquillizzare i fornitori. Ma anche i candidati al trapianto: «Non c'è conflitto di interessi […]. Non è necessario contrapporre gli interessi dei pazienti trapiantati agli interessi dei donatori di eutanasia e viceversa». Ciò a voler dire che il processo eutanasico iniziato a casa non danneggia gli organi. Che il trapiantato stia tranquillo: i nostri organi con procedura domiciliare sono di ottima qualità. È un altro caso di reificazione della persona. Se i nascituri vengono chiamati «prodotto del concepimento» queste persone potranno essere indicate con il nome di «prodotto dell’eutanasia». Il paziente viene visto come un magazzino vivente di preziosi organi. Come accade con i feti abortiti presso le cliniche di Planned Parenthood: prima uccisi e poi depredati dei loro organi a scopo di vendita. I medici poi diventano vampiri d’organi, cacciatori di teste, cuore e polmoni.
Infine la chiusura dell’abstract offre la cifra di quanto la cultura di morte abbia raggiunto gradi così elevati che, in alcune menti, ormai è riuscita a capovolgere l’ordine oggettivo dei valori. Gli autori infatti caldeggiano la procedura at home e quindi spronano tutti a seguirla con queste parole: «Possiamo fare di meglio. I nostri pazienti meritano di meglio». I pazienti non meritano di vivere, bensì di essere uccisi e svuotati a dovere. Il meglio, il famigerato best interest è farsi uccidere per donare organi. E così, ammantata dalla pudica e spessa veste della filantropia che copre ogni sozzura, si incentiva l’eutanasia.
I candidati più appetibili per l’eutanasia del buon samaritano sono poi i malati mentali e i depressi: organi sani in menti fragili. Non si può chiedere di meglio. Corpi sani e giovani, non intaccati da tumori o dalla senescenza, particolarmente adatti al trapianto. Facile prevedere un incentivo all’uccisione di queste persone: quegli organi – così si argomenterà – servono poco in una persona insana di mente o depressa. Meglio darli a chi potrà farne miglior uso. Insomma il solito utilitarismo venduto, in questo caso, come se fosse beneficienza.