Farsa Onu: il Venezuela e altri regimi, arbitri sui diritti
L’Onu ha battuto un suo nuovo record negativo di credibilità. Nel Consiglio per i Diritti Umani, con sede a Ginevra, sono stati eletti anche i rappresentanti dei regimi di Venezuela, Mauritania, Libia, Sudan, Indonesia. Il Venezuela, soprattutto, è uno scandalo: eletto mentre è in corso una violenta repressione.
L’Onu ha battuto un suo nuovo record negativo di credibilità. Nel Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra, sono stati eletti anche i rappresentanti dei regimi di Venezuela, Mauritania, Libia, Sudan, Indonesia. Il Venezuela è sicuramente quello che ha fatto più notizia. Il rappresentante venezuelano dovrà giudicare altri Paesi sul loro rispetto dei diritti umani, proprio mentre una violenta repressione armata è in corso nel suo, con gli oppositori politici in carcere, il Paese ridotto alla fame dalle politiche imposte dal presidente “bolivariano” Nicolas Maduro e il forte e fondato sospetto che la fame stessa sia usata come arma repressiva (accesso al cibo in cambio di fedeltà al regime). In un mondo normale, un regime come quello del Venezuela dovrebbe essere sul banco degli imputati. Nel mondo dell’Onu, quel regime sta dalla parte dei giudici.
Se il Venezuela fa giustamente notizia, perché è sotto i riflettori, la Mauritania è un regime altrettanto scandaloso: sesto nel mondo per numero di schiavi, secondo la classifica del Global Slavery Index. Varie forme di schiavitù, come lavoro forzato e matrimoni forzati, ben radicate nella società e difficilmente eliminabili. La schiavitù è addirittura ereditaria, come avveniva anche da noi in epoca classica. La Libia sarà rappresentata dal solo governo di al Sarraj, perché la guerra civile è ancora in corso e l’esecutivo riconosciuto controlla Tripoli e neppure tutta la Tripolitania. Come tutti i governi in guerra civile, non può considerarsi il miglior arbitro per i diritti umani. Sebbene non direttamente responsabile per la tratta degli esseri umani e nonostante l’impegno assunto in ambito africano per i rimpatri, è un dato di fatto che la rotta del Mediterraneo centrale passi proprio per la Tripolitania. Il Sudan è appena uscito da una lunghissima e sanguinosa dittatura islamica di al Bashir, ma il suo futuro è ancora incerto. La fase di transizione al nuovo regime è appena incominciata e la giunta militare provvisoria si era già distinta per aver sparato sulla folla, prima di consegnare il governo ai civili. Stupisce anche la presenza dell’Iraq, altro Paese fortemente instabile che è appena uscito da una durissima guerra civile e dove tuttora le forze dell’ordine regolari rivaleggiano sul territorio con milizie armate, soprattutto sciite. L’Indonesia, infine, è un paese democratico, ma alcune delle sue regioni, come Aceh, sono sottoposte a un duro regime di legge islamica. E le aggressioni contro le minoranze religiose non musulmane, cristiani compresi, sono in aumento.
Queste elezioni scandalizzano, soprattutto se si considera con quali percentuali di consensi sono stati eletti questi Paesi nel Consiglio per i Diritti Umani, quasi l’unanimità. Dunque, anche Paesi europei, ben consapevoli della condizione dei diritti umani in Paesi come il Venezuela, hanno deciso di eleggerli. Nonostante tutto, queste scelte non dovrebbero stupire più. Se andiamo a ritroso, anche fra i Paesi precedentemente eletti per sedere in questo Consiglio, sono presenti alcuni dei maggiori violatori dei diritti umani, come l’Eritrea (eletta nel 2019, considerata la dittatura più repressiva dell’Africa), l’Afghanistan (eletto nel 2018 e la guerra è tuttora in corso), o il Pakistan (eletto nel 2019, nonostante la legge nera sulla blasfemia, la schiavitù ancora molto diffusa e le violenze contro la minoranza cristiana). Se andiamo ancora più indietro nel tempo, già nel primo anno di costituzione, nel 2006, fra i membri troviamo l’Arabia Saudita (monarchia assoluta islamica, pena di morte per chi viola la legge coranica, nessuna forma di libertà religiosa), l’Algeria (dittatura militare), Cuba (dittatura comunista), Repubblica Popolare Cinese (dittatura comunista).
Il Consiglio per i Diritti Umani appare, insomma, come una farsa: un’assemblea di regimi che violano i diritti umani chiamati a giudicare sul loro rispetto. Come se a un piromane venisse chiesto di spegnere lo stesso incendio che ha appiccato. La farsa è dovuta, prima di tutto, al fatto che l'Onu è una democrazia di Stati moralmente relativista. Conta il numero, non il rispetto dei principi: nei voti dell’Assemblea Generale i dittatori che violano i diritti umani hanno pari diritto di voto con i governi democraticamente eletti che li difendono. Le alleanze si formano per interesse comune, per quieto vivere o per affinità culturali. Ad esempio, il blocco dei regimi islamici è molto compatto ed è in grado di auto-assolversi o di accusare i suoi nemici, a colpi di maggioranze. E questo nonostante la maggior parte dei Paesi che ne fanno parte non abbia neppure sottoscritto la Dichiarazione dei diritti umani universali. La presenza di grandi violatori di diritti umani in posizioni dominanti riguarda tutti gli organi dell’Onu, anche al vertice, basti pensare al seggio permanente della Cina nel Consiglio di Sicurezza. Queste caratteristiche vanno conosciute e soprattutto ricordate, ogni volta che si sente la notizia che l'Onu ha condannato qualcuno, o punta il dito su un governo, magari anche quello italiano.