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ISLAM

Indonesia, il paese dall'islamizzazione rampante

Il governatore di Jakarta, capitale dell'Indonesia, è musulmano e si chiama Anies Rasyid Baswedan. Se prima del voto non ci fossero state false accuse di blasfemia, oggi il governatore sarebbe ancora, con tutta probabilità, il cristiano Ahok, molto popolare fino all'anno scorso. In Indonesia l'avanzata dell'islamismo è preoccupante.

Libertà religiosa 23_11_2017
Gruppi islamici festeggiano la vittoria a Giakarta del loro governatore

Il governatore di Jakarta, capitale dell'Indonesia, è musulmano e si chiama Anies Rasyid Baswedan. All'apparenza non c'è niente di strano, dal momento che stiamo parlando del paese islamico più popoloso al mondo. Peccato che se non fosse stato per false accuse di blasfemia, le elezioni di aprile sarebbero state vinte dal cristiano Basuki Tjahaja Purnama, meglio conosciuto come Ahok, governatore uscente amato da tutti. In campagna elettorale il politico cristiano è stato accusato di aver diffamato il Corano e Maometto, e per questo a maggio è stato condannato a due anni di carcere. La scorsa settimana, in una svolta giudiziaria che ha fatto scalpore in tutto il paese, l'uomo che ha accusato per primo Ahok e che ne ha causato l'arresto è stato condannato a un anno e mezzo di carcere per aver falsificato le prove che hanno portato alla condanna di blasfemia del cristiano.

I fatti risalgono alla fine del 2016, quando Buni Yani, il docente musulmano appena condannato per le prove falsificate, pubblicò un filmato di un comizio elettorale di Ahok. Nel comizio, avvenuto a settembre, il governatore uscente disse che chi usa il versetto coranico Al-Maidah 51 («O voi che credete, non prendete come alleati ebrei e cristiani») per sostenere che i musulmani non possono votare un cristiano alle elezioni «travia l’islam». In effetti, gruppi di estremisti islamici da mesi continuavano a dire che un paese musulmano non può essere guidato da un cristiano. Ahok, ricordando che l’Indonesia è una nazione laica dal punto di vista della Costituzione, invitava a non usare la religione per scopi politici. Il filmato del comizio è stato tagliato ad arte da Buni Yani per dare l'impressione che Ahok stesse insultando Corano e Maometto e poi pubblicato su internet. In più, Buni Yani, traducendo il discorso di Ahok nei sottotitoli, ha volontariamente inserito offese che il politico cristiano non ha mai pronunciato.

Dopo la pubblicazione del filmato, Ahok, pur essendo favorito per la rielezione, ha perso contro il candidato musulmano, che ha conquistato il 58% dei voti. All'indomani delle elezioni, i giornali locali erano pieni di interviste a musulmani che dichiaravano di non aver votato Ahok solo perché era cristiano e aveva «urtato la sensibilità della maggioranza con le sue dichiarazioni». Come se non bastasse, a maggio l'ex governatore è stato condannato a due anni di carcere senza condizionale per «incitamento all'odio» nonostante i procuratori avessero chiesto per lui solo un anno di prigione con la condizionale.

Pochi giorni fa i giudici della Corte distrettuale di Bandung (West Java) hanno ufficialmente scagionato Ahok condannando Buni Yani. Il paradosso è che il politico cristiano è ancora in prigione, mentre invece per il docente musulmano non è ancora stata chiesta l'incarcerazione e anche la pena comminata è inferiore a quella richiesta dai procuratori, segno ulteriore che la discriminazione dei cristiani in Indonesia rimane un fatto. «Buni Yani ha scatenato il caos con le sue azioni», hanno dichiarato i legali di Ahok al Jakarta Post. «Questo verdetto dimostra che il nostro assistito non doveva essere neanche punito. Eppure a Buni Yani hanno dato solo 18 mesi».

La situazione della libertà religiosa in Indonesia continua a essere preoccupante. Se ad Aceh, dove la sharia è legale, l'anno scorso la legge islamica è stata imposta anche ai non musulmani e una donna cristiana di 60 anni ha ricevuto 30 frustate in pubblico per avere venduto alcol, in tutto il paese i cristiani faticano a vivere liberamente la propria fede. Ogni anno almeno 40 chiese vengono chiuse dalle autorità locali sotto la pressione di estremisti islamici, mentre aprirne di nuove è quasi impossibile.