Fallimenti alti e 160mila embrioni sacrificati
Il Ministro della Salute presenta la relazione annuale sulla legge 40. Nessun dato sulle spese sostenute dalle regioni per l’acquisto di ovuli e di seme dall’estero e molti dubbi sulle donatrici estere. Le percentuali di successo sono del 15,92 % mentre c'è un incremento degli embrioni "sacrificati" che sale a 160mila. E' uno dei frutti della sentenza che ha sdoganato l'eterologa riportando tutto al far west riproduttivo che la legge 40 mirava a cancellare.
Da quando i tribunali italiani hanno smontato la legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita l’Italia è ripiombata in un far west in cui le tecniche di fecondazione omologa e eterologa sono regolamentate per molti aspetti dalle singole regioni. Per farsi un idea del fenomeno è quindi necessario prendere in esame la relazione annuale al Parlamento del Ministro della Salute sull’applicazione della legge 40. L’ultima, presentata lo scorso 5 luglio, è stata definita dall’Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici (A.I.G.O.C.) un vero e proprio “bollettino di guerra”.
Aigoc ricorda anzitutto che le tecniche di fecondazione extracorporea vengono “praticate in Italia prevalentemente a spese dei contribuenti italiani essendo state inserite nei livelli essenziali di assistenza pur non essendo terapie della sterilità ed infertilità di coppia e pur non avendo un’efficacia tale da giustificare il loro diffuso impiego a spese dei contribuenti (solo il 15,92% delle coppie che si sottopongono a tali tecniche riesce ad avere uno o più figli in braccio dopo uno o più cicli praticati nello stesso anno)”.
A tal proposito vale la pena ricordare che nel 2014 fu emessa la sentenza della Corte Costituzionale che ha reso possibile tentare di avere un bambino con gli ovuli di un’altra donna e il seme di un altro uomo esterni alla coppia. Poi dal gennaio 2016 i nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza) hanno previsto che tra le prestazioni sanitarie che il sistema nazionale deve fornire gratuitamente c'è anche la fecondazione eterologa e nel frattempo alcune regioni già avevano provveduto a fornire questo servizio. Un paradosso se si considera che molti farmaci per la cura dell’epatite C non sono mutuabili e che per avviare un’adozione una coppia è costretta a spendere diverse migliaia di euro.
In questa cornice, risulta quanto meno opaco il fatto che la relazione presentata al Palamento non riporti alcun dato sulle spese sostenute dalle regioni per l’acquisto di ovuli e di seme dall’estero; procedimento non eludibile visto e considerato le pressoché inesistenti donazioni (l’articolo 12 della legge 40 vieta la compravendita di gameti) provenienti da uomini e donne italiane che, anche secondo diversi sondaggi sul tema, sono culturalmente contrari all’idea di spargere in giro le loro cellule riproduttive per dare vita a figli che non conosceranno mai.
Fatto sta che la ricerca di ovuli all’estero è stata condotta anche dalle singole strutture sanitarie, come testimonia un avviso di gara del 29 ottobre 2014 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea dall’Ospedale Careggi di Firenze: «L’azienda ospedaliera universitaria Careggi intende conoscere quali istituti, in possesso dei necessari requisiti, sono interessati a collaborare, all’occorrenza, per l’approvvigionamento di gameti».
Ma se sui costi del servizio il documento presentato alle aule parlamentari è completamente carente, offre invece una discreta panoramica circa le coppie trattate, gli embrioni trasferiti e quelli nati vivi. Gli ultimi dati disponibili sono quelli relativi al 2015, anno in cui per la prima vota sono stati conteggiati anche i primi casi di inseminazione eterologa.
Ebbene le coppie sottoposte ai trattamenti sono poco meno di 60.000, di cui circa 2100 con eterologa; il numero di embrioni trasferiti ammonta a 98.120 e i nati vivi sono solo 11.029, in termini percentuali appena 15,92 %, ovvero meno di una coppia su sei riesce da avere un bambino alla fine di tutti i trattamenti per la fecondazione extracorporea. Quello che poi fa impressione è il numero degli embrioni che la ricerca definisce “sacrificati”, tra questi gli ovociti inseminati non trasferiti e gli embrioni crioconservati e poi scongelati.
Numeri che sono stati elaborati dal vicepresidente di Aigoc, il dott. Angelo Francesco Filardo, il quale ha evidenziato che sottraendo i nati vivi (11.029) e quelli rimasti crioconservati (34.490) dalla cifra totale degli embrioni prodotti risultata che circa 160.000 di questi sono stati “sacrificati”. Si tratta di un numero in aumento rispetto al 2014 (149.953). Tra altro, in un comunicato ufficiale gli ostetrici e ginecologi cattolici sostegno che “tale cifra non rispecchia la realtà perché i dati offerti sulle fecondazioni eterologhe sono molto carenti e non permettono di risalire al numero totale effettivo di embrioni prodotti per cui è stato preso per buono il numero di 3.924 embrioni trasferiti in utero, che è molto basso rispetto ai 21.476 ovociti ed ai 1.161 embrioni importati dalla Danimarca, Grecia, Rep. Ceca, Spagna, Svizzera (la cifra più verosimile si aggira sui 168.200)!”.
“Ci sorprende e ci lascia perplessi la grande generosità delle “donatrici” straniere, che hanno “offerto” la stragrande maggioranza degli ovociti utilizzati nel 2015 per le fecondazioni eterologhe – si legge ancora nella nota dell’Aigoc - richiedendo la ovodonazione una stimolazione ovarica per far maturare più ovociti (in media 6,9) ed un prelievo degli stessi”.
In effetti la relazione non spiega come avvengono all’estero quelle che per la legge italiana dovrebbero essere delle semplici donazioni. Lo scambio in denaro dovrebbe avvenire solo a titolo di rimborso spese, ma non è mai stata stabilita qual è la consistenza di tale rimborso.
Un altro aspetto allarmante è l’aumento della crioconservazione. Nel 2015 sono stati criopreservati 34.490 embrioni, il 31% dei cosiddetti embrioni prodotti e trasferibili con punte del 55,8% nel Lazio, del 49% nella Provincia autonoma di Bolzano e del 41,2% in Umbria mentre ne sono stati scongelati solo 20.444. Su questo versante le coppie e le strutture ospedaliere che si occupano di procreazione in vitro sono state deresponsabilizzate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 151/2009, che ha tolto il divieto della produzione al massimo di tre embrioni da trasferire simultaneamente in utero.
Da parte loro, denunciano i ginecologi cattolici, il Parlamento ed il Governo non si sono preoccupati di arginare questa anarchia riproduttiva, varando nuove linee guida che impediscano la sovrapproduzione incontrollata di embrioni. In realtà nell’agosto del 2015 queste linee guida sono state elaborate, ma per forza di cose si sono dovute limitare a recepire la sentenza del 2009 che fissa la produzione di embrioni in un numero “strettamente necessario” stabilito dal medico che segue la coppia. Insomma di fatto la politica la politica è stata esautorata dalla magistratura, la quale ha elaborato una dicitura così vaga che ora viene aggirata sia dalle cliniche private sia dagli ospedali pubblici che hanno tutti gli interessi a congelare più embrioni possibili. Va da se che si tratta di vite umane in nuce che non possono essere lasciate sospese a tempo indeterminato nell’azoto liquido come oggetti inutili.