Eutanasia, reality con tanto di copione e attori di corte
Dopo le Iene con Fabo, tocca a La7 raccontare il viaggio in Svizzera verso l'eutanasia di un disabile. Lo scopo è fare pressioni sulle Dat, appena approdate in Senato. Un format da reality ormai affermato, con tanto di attori prestati alla causa.
Piazzapulita, la trasmissione condotta da Corrado Formigli su La7, ha mandato in onda giovedì sera il lungo servizio che racconta il viaggio di Loris Bertocco dalla sua abitazione in provincia di Venezia alla clinica di Zurigo dove ha posto fine alla sua vita tramite il suicidio assistito. Dopo il caso di Fabo, è stata ancora una volta la televisione a fare da cassa di risonanza alla richiesta di un malato disabile grave da molti anni, di porre fine alle sue sofferenze, senza mai una volta chiamarla col nome di eutanasia, ma servendosi della sua storia per rilanciare il dibattitto sulle disposizioni anticipate di trattamento, che proprio nei giorni scorsi sono approdate all’esame del Senato.
Il suo caso infatti è stato lucidamente preparato da interviste, appelli e da una lettera aperta nella quale Bertocco ha messo nero su bianco non solo la sua disperazione nell’affrontare la malattia, ma anche l’incredibile sequenza di ritardi o omissioni amministrativo-burocratiche degli enti locali nell’assicurargli una assistenza continua.
Nella sua storia infatti si sono intrecciati due drammi: la volontà di porre fine ad un’esistenza che lui non giudicava più degna ormai di essere vissuta e le difficoltà di ottenere ascolto e assistenza da parte della Regione Veneto, che gli ha negato - a suo dire - più volte una assistenza completa. La lettera, pubblicata dai giornali nei giorni scorsi, è il lucido racconto di una persona che sta vivendo da troppi anni un dramma nel dramma: la malattia e la solitudine.
Questo almeno è quanto ha raccontato l’aneddotica mediatica che ha cavalcato il suo caso per rilanciare la necessità di una legge sul suicidio assistito anche in Italia. Il messaggio che passa e che i media hanno veicolato, ma che lo stesso Bertocco ha consapevolmente scelto di trasmettere, è che se ci fosse una legge sulle Dat il suo viaggio della morte non ci sarebbe stato e lui avrebbe posto fine alla sua vita a casa sua. Come se il male fosse il viaggio in sé e non l’atto di scegliere liberamente di porre fine alla propria vita giudicata non più degna di essere vissuta.
Eppure Bertocco non era un “vegetale”: nelle interviste è presente, viene ripreso mentre con la carrozzina lo spingono lungo il lago, sorride, parla fluentemente, sogna la bellezza del mare, ma è stato proprio per non doversi ridurre a vegetale che ha cercato insistentemente la via del suicidio assistito. Certo, le sofferenze si erano fatte ormai ingestibili, anche dal punto di vista pratico, ma la sua decisione, al fondo di tutto, è stata presa indipendentemente dalle difficoltà logistiche del suo stato di malato da seguire 24h.
E’ lui stesso a metterlo nero su bianco in conclusione alla sua lunga lettera di commiato: “Sono convinto che, se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata, avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ma questa scelta l’avrei compiuta comunque, data la mia condizione fisica che continua progressivamente a peggiorare e le sue prospettive. Avrei però voluto che fosse il mio Paese, l’Italia, a garantirmi la possibilità di morire dignitosamente, senza dolore, accompagnato con serenità per quanto possibile”.
Quindi, la causa dell’inefficienza sanitaria è soltanto un’aggravante di una situazione che andava ben al di là delle problematiche assistenziali. Toccava il suo rifiuto totale della vita nella condizione in cui era e che una serie penosa di vicissitudini familiari e personali, avevano aggravato. Ma l’approdo sarebbe comunque stato quello: l’eutanasia. Invece i giornali e la televisione l’hanno utilizzata come la principale causa, per far crescere l’indignazione popolare e alimentare una letteratura che ormai sembra aver preso decisa la strada del genere comunicativo.
Con Dj Fabo infatti, la troupe delle Iene, entrando in casa, ha di fatto inaugurato un preciso format, che si è ripetuto anche questa volta. Un format, un copione che prevede una sapiente regia fatta di visite a casa, chiacchierata col malato, intervista ai parenti prossimi distrutti dal dolore e perfino l’ingresso in clinica con il cinico funzionario che gli illustra la metodologia con la quale gli verrà somministrato il veleno grazie al quale, viene ribadito, “dopo, dormirai per sempre”. Anche le parole scelte devono dare l’idea del passaggio indolore e asettico: la morte diventa un dormire, il suicidio un atto di amore, tutto è studiato sapientemente con il solo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica con il mezzo più immediato che ci sia.
E all’uopo ben vengano anche gli attori famosi, che mettono a disposizione il loro talento e la loro arte per la causa. Un po’ come accadeva negli anni ’60 con i cantanti impegnati politicamente. Ora abbiamo gli artisti dell’appello e della lacrima facile. Non è un caso che anche la storia di Bertocco sia stata impreziosita da uno di questi cammei quando l'attore Alessandro Haber ha letto uno stralcio della sua lettera, aggiungendo alle sue parole un’interpretazione piena di pathos per suscitare la commozione dell’opinione pubblica.
Siamo al dolore umano codificato con lo strumento del reality dove gli attori si fanno giullari di corte che recitano un canovaccio scritto da un potere che nasconde il suo secondo fine: l'indottrinamento. Lo spettatore, guardando sul divano di casa, non è altro che un utente, il quale l'altra sera poteva scegliere di flagellarsi con il Milan in Europa League oppure di farsi trascinare nel dramma dell’uomo, dove sapienti esperti di comunicazione avevano confezionato per lui una manipolazione con la quale, una volta edotto, avrebbe poi dovuto accrescere le fila degli indignati dell’autodeterminazione.
Bertocco è stato ucciso dalla sua lucida volontà di morte che lo ha reso solo e per questo, una volta detto, bisogna sempre pregare con il rispetto che si deve a chi non c'è più, ma in molti hanno fatto il tifo per la sua morte con la morbosità con la quale si segue il Grande Fratello. Un punto di share in più, e, finito, un altro canale da scandagliare prima di andare a letto.