Eutanasia chiesta da un'altra donna, le colpe della Consulta
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Un altro caso di suicidio assistito a Trieste, condotto e sfruttato politicamente dai Radicali. Martina Orpelli, tetraplegica, chiede di morire. La Consulta può darle ragione.
Ennesima vicenda dolorosa, dolorosissima, sfruttata dai Radicali per portare avanti la loro agenda mortifera. Martina Orpelli, 49 anni, architetto, tetraplegica a causa della progressione della sclerosi multipla di cui è affetta sin da quando aveva 28 anni e assistita dall’immancabile Associazione Luca Coscioni ha chiesto di morire tramite suicidio assistito all’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) di Trieste. Uno dei criteri indicati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 242/19 (qui un approfondimento) per poter accedere all’aiuto al suicidio consiste nel fatto che il richiedente deve essere tenuto in vita da supporti vitali. Per l’Asugi manca questo requisito. I legali della Orpelli hanno depositato un ricorso d’urgenza per chiedere che la Asugi venga condannata alla rivalutazione del requisito del “trattamento di sostegno vitale”.
Questa vicenda ci riporta alla memoria un caso simile conclusosi nel dicembre dell’anno scorso: Anna (nome di fantasia), concittadina dell’architetto Orpelli, era anche lei era affetta da sclerosi multipla ed anche lei si era vista negare la richiesta di morire dalla stessa Azienda sanitaria. Poi, in quel caso, si fece ricorso al Tribunale e questi diede ragione ad Anna perché le terapie farmacologiche e l’assistenza di terzi furono considerate trattamenti di sostegno vitale, dato che, se non ci fossero state, avrebbero procurato la morte della paziente. Ed Anna morì.
Il copione con la signora Orpelli ha seguito la solita regia dei radicali. In prima battuta si è svolta la conferenza stampa dell’Associazione Luca Coscioni per denunciare che in Italia serve una legge sul suicidio assistito, così come chiesto dalla Consulta, altrimenti pazienti come la Orpelli saranno sempre costretti ad emigrare in Svizzera per poter morire. In seconda battuta non poteva mancare un video appello della diretta interessata rivolto ai parlamentari affinchè varino una legge sul suicidio assistito.
La strategia radicale fa perno sul dolorismo squadernato pubblicamente: «La sofferenza è diventata intollerabile – racconta la Orpelli in conferenza stampa – parlo con un filo di voce, non riesco più nemmeno a tossire, non sono autonoma in nulla. Ogni giorno il dolore fisico è indescrivibile». Stante il rispetto per le condizioni severissime in cui versa la Orpelli, però qualcosa non torna. E non torna non solo perché in conferenza stampa la donna non parlava con un filo di voce, ma perché lo stesso sito dell’Associazione Luca Coscioni ci informa che la Orpelli continua a svolgere il suo lavoro di architetto tramite comandi vocali. Se il dolore fosse insopportabile non potrebbe svolgere questa professione, né, poi, parlare con una certa tranquillità e con sicura determinazione come ha fatto in conferenza stampa. I palliativisti lo sanno bene: il dolore acuto annebbia la mente, il dolore estremo può portare allo svenimento. Ciò detto per la Consulta uno dei criteri per accedere al suicidio assistito è sperimentare un dolore insopportabile ed il giudizio sulla insopportabilità spetta al paziente, giudizio insindacabile. Inoltre il dolore può avere anche solo natura psicologica. Dunque la Orpelli, in merito a questo criterio, è persona candidabile all’eutanasia.
Ma torniamo al requisito del sostegno vitale il quale può essere inteso in senso più e meno esteso a seconda dell’Asl chiamata a decidere del caso. I Radicali, la cui strategia su ogni principio non negoziabile è sempre tesa ad eliminare limiti e paletti, stanno battagliando per eliminare anche questo requisito. Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e difensore che coordina il collegio legale di Martina Orpelli, ha dichiarato a tal proposito: «Il prossimo 19 giugno la Corte costituzionale è chiamata ad intervenire sul requisito del sostegno vitale […]. La Corte […] dovrà pronunciarsi sull’aiuto fornito a dicembre 2022 da Marco Cappato, rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile, da Chiara Lalli e Felicetta Maltese, che, mettendo in atto un’azione di disobbedienza civile, hanno accompagnato Massimiliano, toscano 44enne, affetto da sclerosi multipla, in Svizzera per poter ricorrere al “suicidio medicalmente assistito”. Massimiliano si era recato in Svizzera perché non era dipendente da un trattamento di sostegno vitale in senso classicamente inteso (come per esempio dispositivi, farmaci o macchinari sanitari con la funzione di rallentare il progredire della malattia e quindi il decesso), nonostante fosse dipendente totalmente da assistenza di terze persone per sopravvivere. Per questo avrebbe potuto incontrare ostacoli nell’accedere al suicidio assistito in Italia […] Oggetto della nuova pronuncia dei giudici della Corte sarà, dunque, il requisito del “trattamento di sostegno vitale”, ossia quello che si presta a un’interpretazione più ambigua e con potenziali effetti discriminatori».
Del caso Cappato-Lalli-Maltese avevamo parlato a suo tempo, mettendo in luce che, se cade anche questo paletto, pure i semplici depressi potranno chiedere di morire, che appare curioso chiedere alla Consulta se solo qualche anno fa si fosse sbagliata ad inserire questo criterio, che la Consulta, in modo inusuale se non bizzarro, si dovrà pronunciare non su una norma ma su una decisione giurisprudenziale (la propria) e che, infine, abbattuto il paletto dei sostegni vitali, questo farà cadere anche gli altri requisiti indicati dalla Corte costituzionale. In tal modo, quando un futuro parlamento a maggioranza progressista varerà una legge sul suicidio assistito (ma più probabile sull’eutanasia), questo stesso parlamento avrà poco da sudare, dato che il duo Radicali-Consulta avrà già fatto gran parte del lavoro sporco al posto suo.