Europee, la vera posta in palio è nazionale
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Ufficialmente si vota per il rinnovo del Parlamento Europeo. In pratica si pensa solo all'Italia. Ecco cinque cose da guardare nelle elezioni europee.
Una delle più brutte campagne elettorali della storia d’Italia, contrassegnata da scaramucce di piccolo cabotaggio e da un’assoluta indifferenza rispetto ai temi del futuro dell’Europa, si è chiusa da poche ore.
Oggi e domani gli italiani saranno chiamati ad eleggere 76 dei 720 europarlamentari. Ufficialmente la posta in palio è la guida dell’Unione europea per i prossimi 5 anni. La verità è che in realtà ci sono almeno altri cinque elementi da considerare nelle valutazioni degli esiti di questo voto. Va peraltro sottolineato che in Italia si vota anche per il rinnovo del consiglio regionale del Piemonte e dei consigli comunali di molti piccoli comuni e di alcune grandi e importanti città come Bari, Bergamo, Firenze e Cagliari. Si tratta di importanti appuntamenti amministrativi che avranno riflessi nazionali.
Il primo fattore che sarà certamente oggetto di valutazione è la percentuale di votanti. Nel 1979, quando si votò per la prima volta per il Parlamento europeo, nel nostro Paese si recarono ai seggi oltre l’85% degli aventi diritto. Le previsioni per questa tornata elettorale oscillano invece tra il 50 e il 60%, a riprova della progressiva disaffezione degli italiani verso le urne in generale e verso quelle europee in particolare. Si tratta di un segnale chiaro che il corpo elettorale lancia ai politici italiani, che hanno trasformato la campagna elettorale per le europee in una campagna elettorale su temi nazionali.
Il secondo fattore da considerare riguarda il rapporto di forze tra i partiti, anche all’interno delle stesse coalizioni, visto che si vota con il sistema proporzionale. Gli ultimi botta e risposta tra Matteo Salvini e Antonio Tajani sono la riprova di quanto gli schieramenti siano stati messi a dura prova da questo sistema di voto che spinge i contendenti ad enfatizzare le differenze anziché i punti di contatto con gli stessi alleati.
Il terzo fattore di cui si discuterà a urne chiuse è la differenza percentuale tra Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega. La competizione fra questi ultimi due partiti è decisiva per la tenuta della coalizione e del governo. Se il partito della Meloni dovesse sfondare e distanziare di molto gli alleati, il rimpasto di governo sarebbe inevitabile. Inoltre, se Forza Italia dovesse scavalcare la Lega, si aprirebbe la resa dei conti nel Carroccio, con i governatori che chiederebbero la testa del Capitano. Dunque la partita interna al centrodestra è decisiva per il futuro dell’esecutivo.
Il quarto fattore da considerare è il risultato del Pd. Gli oppositori dem non vedono l’ora di far fuori Elly Schlein e di imputarle la sconfitta elettorale. Ma se il risultato elettorale del Pd fosse positivo, la segretaria Pd avrebbe buon gioco nel rivendicare la leadership del partito e anche quella della coalizione, tanto più se il Movimento Cinque Stelle dovesse fare flop e crollare nelle urne, anche a causa dell’alto astensionismo previsto al sud, area del Paese in cui i grillini non possono più sventolare la bandiera del reddito di cittadinanza. Giuseppe Conte, in caso di insuccesso alle europee, scenderebbe a più miti consigli con il Pd, accettando di rinunciare definitivamente alla premiership? E’ un interrogativo tutt’altro che banale.
Il quinto e ultimo elemento da tenere monitorato nelle prossime ore è l’andamento dei partiti minori. Noi moderati di Maurizio Lupi ha preferito intrupparsi in Forza Italia, consapevole del fatto che non avrebbe mai raggiunto lo sbarramento del 4%. Questa soglia rischia di funzionare come una tagliola per quei partiti come Azione (Calenda), Stati Uniti d’Europa (Renzi/Bonino) e Alleanza verdi sinistra (Bonelli, Fratoianni…Salis…) che nei sondaggi oscillano tra il 3 il 4%. La loro sopravvivenza dipende molto dall’esito del voto, poiché il fuggi fuggi sarebbe inevitabile in caso di mancato raggiungimento del quorum. Dopo il dissolvimento del terzo polo, si disintegrerebbero definitivamente anche le forze che lo componevano.
Ecco perché il voto di oggi e domani è soprattutto un voto nazionale, anche se ufficialmente si tratta di una consultazione europea. Facile prevedere che da lunedì nulla sarà più come prima. Un eventuale consolidamento del bipolarismo Meloni-Schlein potrebbe preludere a scossoni sia dentro la maggioranza che nelle opposizioni. E i due principali partiti, soprattutto il Pd, potrebbero diventare attrattivi rispetto ai transfughi delle formazioni minori in via di liquidazione.