Europa e islam, l'integrazione impossibile
«Islam: un problema politico» è il titolo del decimo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa pubblicato dall'Osservatorio Cardinale Van Thuân. Alla rilevanza della presenza islamica in Europa fa da contraltare una mancanza di attenzione all'impatto dell'islam sulle nostre società, che pensano di risolvere tutto con il principio di tolleranza e il dialogo interreligioso. Un grave errore di prospettiva.
Il decimo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa pubblicato dall’Osservatorio Cardinale Van Thuân, dedicato all’islam politico «apre una pista nuova» e, cioè, non solo s’interroga sulla realtà dell’islam politico, ma ne analizza la sua «compatibilità o incompatibilità con i principi della Dottrina sociale della Chiesa». Così scrive mons. Giampaolo Crepaldi, per via della poca attenzione dei media e del mondo politico e culturale nei confronti dell’impatto politico che l’islam ha in ambito europeo.
Due soltanto, a questo proposito, sembrano essere le preoccupazioni degli europei, a parere di Crepaldi. Quanto alle istituzioni politiche, si pensa di arginare ogni problema con il solo «principio di tolleranza». Quanto alla Chiesa cattolica, l’unica preoccupazione gira attorno all’urgenza di avviare il «dialogo interreligioso». Entrambi gli ambiti – civile e religioso – sembrano fondare ogni futura iniziativa nei confronti degli immigrati o dei cittadini musulmani sul «principio della libertà religiosa».
Calibrare tutto sulla libertà religiosa, però, «è insufficiente» – sostiene l’arcivescovo, poiché «in questo modo non si affronta il problema della verità delle religioni e quello delle particolarissime caratteristiche della religione islamica». Proprio a motivo della natura teologica dell’islam, ad esempio, non ci si può limitare alla questione della semplice tolleranza, poiché da parte islamica non vi può essere un contraccambio, al punto che «un certo fondamentalismo è inseparabile» dalla religione di Maometto.
La “Grande Sostituzione”
Non sono nemmeno da sottovalutare – sempre a parere di Crepaldi – le pressioni dei nuovi partiti di matrice islamica per immettere nelle legislazioni europee elementi «del diritto islamico (fiqh) e della legge islamica (charia)». A quest’aspetto dell’islam politico se ne aggiungono altri: estraneità del sistema islamico alla laicità, sistema sociale basato sulla sottomissione al Dio del Corano, unità e superiorità della comunità islamica (Umma). Per non parlare delle particolari convinzioni sulla donna e sulla famiglia, distanti dalla prospettiva occidentale. Dottrina sociale della Chiesa e islam, dunque, sono su posizioni differenti, ma non solo: la Dottrina sociale ha una visione molto diversa anche dal modernismo neoilluminista, che regge la quasi totalità delle istituzioni liberali europee.
Il quadro, allora, restituisce tutta la debolezza del sistema europeo nei confronti di un islam aggressivo, se non per via degli attentati – ad opera di una minoranza – almeno per via culturale, nel momento in cui i musulmani sono disposti ad integrarsi a modo loro, cercando di esportare i loro principi religiosi nella politica e nella società. Per questo Giulio Meotti, giornalista de “Il Foglio” e autore di un saggio del Rapporto, scrive di un programma di egemonia sociale evidente, da parte del mondo musulmano francese. E cita, per questo, l’arcivescovo di Strasburgo Luc Ravel, secondo il quale è in atto una «Grande Sostituzione», a proposito del basso tasso di natalità dei francesi rispetto a quello dei musulmani. Secondo Meotti, insomma, è in corso «l’islamizzazione “pacifica” dell’Europa da raggiungere attraverso le moschee, il proselitismo, la demografia, il multiculturalismo, il rimpiazzo».
Se ne parlava, in realtà, già dal 1990, quando l’islamologo Bernard Lewis disse che «il “politicamente corretto” e il “multiculturalismo” erano un mix letale per l’Occidente» e annunciava «la terza invasione islamica dell’Europa», che avrebbe avuto «maggior successo della prima e della seconda». Sia come sia, per Meotti è un fatto che «nel 1970 le moschee in Francia erano un centinaio, oggi sono più di 2.450», con un «ritmo di quasi due nuove moschee a settimana da dieci anni a questa parte».
Occidente “disintegrato”
Stefano Fontana, nella Sintesi introduttiva al Rapporto, ritiene che la situazione attuale è resa instabile da due forze opposte, ma del tutto asimmetriche. Da una parte c’è l’Europa «accomodante e priva di pretese», dall’altra c’è una comunità islamica «convinta e decisa». Uno squilibrio, quindi. La debolezza occidentale è dovuta pure al fatto che l’Europa – osserva Fontana - «si rifiuta di conoscere l’islam». O meglio, «lo ri-conosce», cioè «lo accetta e lo convalida senza però conoscerlo per quello che è». Su ogni questione cala il silenzio: poligamia, diritto parallelo della charia, condizione della donna nell’islam. C’è solo un vago sogno diffuso, secondo cui vi sarebbe un «islam moderato» di tipo europeo. Né però – scrive Fontana – «nella lettera del Corano» e nemmeno «nei detti e negli atti di Maometto» c’è posto per un islam di questo tipo.
Si arriva, perciò, ad una pretesa assurda: l’Occidente chiama «integrazione» l’imporre ai musulmani «un’incoerenza rispetto ai principi della loro religione». Tutto è fondato su alcuni malintesi. Secondo il mainstream occidentale la questione delle migrazioni sarà risolta dal principio della libertà religiosa, della tolleranza e del convincimento che tutte le religioni monoteiste siano in fondo uguali. Nemmeno la Chiesa è estranea a questa logica – spiega Fontana – quando non va oltre alla proposta del dialogo interreligioso e della società multiculturale. La realtà è diversa: «L’Occidente non può integrare l’islam sia perché è disintegrato esso stesso», sia «perché non vuole guardare in faccia l’islam per quello che è».