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CONTINENTE NERO

Etiopia: guerra nel Tigray, è allarme genocidio

A lanciare l'allarme genocidio è Aiuto alla Chiesa che Soffre, nella guerra che si combatte nella regione del Tigray, in Etiopia. Lo denuncia anche il patriarca Abune Matthias, tigrino e capo della Chiesa ortodossa. Ma i responsabili dei massacri sono tutte le parti del conflitto, nessuna esclusa. Compresi i miliziani indipendentisti del Tplf

Esteri 02_06_2021
Etiopia, chiesa ortodossa

In Etiopia il conflitto scoppiato lo scorso novembre, allorché il Partito popolare di liberazione del Tigray (Tplf)  ha sfidato il governo e ha annunciato di voler combattere a oltranza per la propria autodeterminazione formulando minacce di secessione, ha assunto il carattere di genocidio. A dichiararlo in un video registrato a fine aprile e diffuso nei primi giorni di maggio, è stato il Patriarca Abune Matthias, capo della Chiesa Ortodossa. “Vogliono distruggere il popolo tigrino – ha detto – non so perché vogliano farlo. Il popolo tigrino non ha colpa. Il mondo lo deve sapere. Molte barbarie sono state commesse in tutta l’Etiopia in questi giorni ma quel che sta succedendo nel Tigray è di una brutalità e crudeltà estreme”. Poi ha fatto un elenco delle atrocità commesse: massacri, saccheggi, gente fatta morire di fame, chiese distrutte.

La Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS) il 31 maggio ha rilanciato l’allarme genocidio riportando notizie pervenute da una fonte vicina alla Chiesa locale, coperta da anonimato. Violenze sessuali, uccisioni di civili, suore rapite: “sono tutte manifestazioni del genocidio in corso ai danni del gruppo etnico della regione etiopica settentrionale del Tigray” si legge nel comunicato di ACS. “Non si tratta solo di combattimenti –  spiega la fonte – stanno uccidendo chiunque, e ciò è un segno di genocidio. Molte gente scappa dal Tigray verso il Sudan e alcuni di loro, in particolare i giovani, fuggono perché vengono presi di mira. I giovani vengono uccisi, le nostre donne sono oggetto di abusi sessuali, e anche questo è segno di genocidio”. Secondo la fonte di ACS, responsabili delle gravissime violazioni dei diritti umani contro i civili tigrini sono i militari arrivati dalla vicina Eritrea per sostenere le truppe governative: “le nostre sorelle sono state rapite. Abbiamo dovuto portare in ospedale alcune di loro, sono state sequestrate anche delle suore. Le donne e le ragazze stanno sperimentando un diverso tipo di abusi, mai sentiti prima, cose davvero terribili”.

La presenza di soldati provenienti dall’Eritrea nel Tigray è stata riconosciuta dai governi eritreo ed etiope solo ad aprile, ma si ritiene che risalga a novembre, ai primi giorni del conflitto, subito dopo che le forze tigrine avevano lanciato dei razzi nel paese vicino, caduti in prossimità dell’aeroporto internazionale della capitale Asmara. Il governo eritreo lo ha ammesso ufficialmente il 16 aprile con una lettera indirizzata al Consiglio di sicurezza dell’Onu dall’ambasciatore eritreo al Palazzo di Vetro. In seguito l’Eritrea ha promesso di ritirare le proprie truppe sotto la crescente pressione internazionale, ma può darsi che non lo abbia fatto. Dall’inizio della crisi, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha consentito l’accesso al Tigray solo ai convogli di aiuti internazionali. Che cosa succede realmente in quella regione è davvero difficile da accertare.

Tuttavia si può dire con certezza che responsabili di massacri, violenze, abusi ai danni dei civili sono tutti i protagonisti del conflitto, nessuno escluso: oltre agli eritrei, i combattenti Tplf e i militari governativi. Gli uni e gli altri negano ogni addebito e al tempo stesso denunciano gli avversari di misfatti di cui volentieri esagerano la portata. Il massacro di Mai-Kadra, nel Tigray sud occidentale, almeno 500 vittime trucidate in una notte, è attribuito ai combattenti Tplf; quello di Axum, di cui peraltro sono state ridimensionate le cifre – dalle 800 iniziali a meno di 100 – è imputato alle truppe eritree; all’avvicinarsi delle truppe governative a Macallé, dove il Tplf aveva attaccato una base militare all’inizio di novembre di fatto dichiarando guerra al governo, la popolazione fu avvertita di allontanarsi: non esistono dati sul numero delle vittime civili.

Qualche stima dell’entità della crisi umanitaria invece incomincia a circolare. Secondo le Nazioni Unite attualmente nel Tigray le persone che hanno assoluto bisogno di assistenza umanitaria sono 5,2 milioni, gli sfollati sono due milioni, i profughi fuggiti nel vicino Sudan sono più di 63.000. Almeno il 25% delle scuole hanno subito danni gravi o sono state del tutto distrutte e risultano inagibili. Negli ospedali mancano medicinali e personale e circa la metà delle strutture sanitarie non sono in condizione di funzionare.  

Prima dell’intervento del Patriarca Matthias, le accuse rivolte ai contendenti erano di crimini contro l’umanità nell’ambito di uno scontro nato dalla rabbia dei vertici Tplf nel vedersi escludere dalle istituzioni politiche che avevano controllato per quasi 30 anni, approfittandone. Nel 2018 il primo ministro Abiy appena assunta la carica ha rimosso ministri e funzionari Tplf accusandoli di corruzione. Poi ha fuso i partiti a base etnica in una coalizione governativa nella quale i tigrini hanno rifiutato di entrare denunciando una manovra per smantellare la struttura federale del paese.

Parlare di genocidio pone il conflitto in una prospettiva diversa. Attribuisce al governo e ai suoi alleati l’intenzione di infierire sui cittadini di etnia tigrina indiscriminatamente. “Il patriarca Matthias è molto rispettato dalla Chiesa ortodossa etiope e dalle Chiese ortodosse nel mondo – ha commentato in una intervista l’ex ministro degli esteri Berhane Gebre Christos, membro del Tplf – le sue parole sono tenute in grande considerazione in Etiopia e all’estero”.

Ma Abune Matthias è un tigrino. Infrangendo la tradizionale gerarchia della Chiesa etiope, il Sinodo Ortodosso ha preso le distanze e si è dissociato dalle sue  affermazioni.