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DIBATTITO

Eterologa, quel che può fare un ministro

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sull'eterologa, il dibattito è sempre vivo nel mondo pro-life. Mentre i vari Rodotà, radicali, deputati di sinistra chiedono l’immediata applicabilità della sentenza, il ministro Lorenzin ha deciso invece di intervenire. Ma questo non basta, occorre che anche i cattolici si mobilitino.

Vita e bioetica 04_08_2014
Fecondazione artificiale

Sulle implicazioni e sulle azioni possibili dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha parificato la fecondazione eterologa a quella omologa, facendo saltare uno dei pilastri della Legge 40, il dibattito è sempre vivo nel mondo pro-life. Molti sono stati gli interventi - anche di segno diverso - pubblicati su La Nuova BQ. Oggi ospitiamo l'intervento di Francesco Agnoli, che spezza una lancia a favore dell'azione del ministro Lorenzin e ricorda il compito urgente dei cattolici.

 

Il 24 febbraio 2004 la Gazzetta ufficiale pubblicava la famosa Legge 40 sulla fecondazione artificiale (FIV), o Pma. Quella legge arrivava dopo anni e anni di discussione, e un vero far west procreativo che forse pochi oggi ricordano, e che allora veniva negato soprattutto dai radicali e da buona parte della sinistra (Veltroni e D’Alema in testa). In assenza di legge, infatti, tutto era perfettamente lecito. E nel nostro Paese succedeva proprio di tutto. Soprattutto grazie al fatto che alcune cliniche private procedevano a spron battuto nel promettere figli, e figli sani, a centinaia di coppie disperate e ingenue, disposte a pagare qualsiasi cifra. 

Prima del 2004 è tutto un proliferare di laboratori più o meno improvvisati, perché, a differenza che per qualsiasi altra specialità medica, non era richiesto alcun permesso nè alcuna specializzazione: un dentista di Firenze, la sera, deposto il trapano, trasformava il suo studio in un centro di Fiv; altri dottori, poco attrezzati e poco esperti, improvvisano improbabili tecniche o si limitano a spillare quattrini, senza alcun risultato. «Chi operava nel privato», scrive Giulia Valentini, nel suo libro contro la legge 40, intitolato La fecondazione proibita, «non aveva regole specifiche da rispettare… Non c’era alcun obbligo di far verificare la scientificità e la sicurezza dei propri metodi agli ispettori del ministero. Non c’erano limiti alle tariffe e non esisteva neanche un registro nazionale dei centri con iscrizione obbligatoria, come in molti altri Paesi».

In quegli anni, prima della legge, abbiamo nel nostro Paese bambini nati da “due mamme”, cioè dalla fusione di due ovuli femminili; bambini “ospitati” in uteri di donne extracomunitarie, utilizzate come contenitori (i primi uteri in affitto); venditori di seme che arrivavano a mettere sul mercato anche 1000 dosi dello stesso donatore; parti plurigemmellari, dovuti all’impianto di innumerevoli embrioni (svariati i casi di mamme con 5-6-8 figli, destinati ovviamente in parte alla morte naturale o all’aborto procurato, in parte, quelli nati, a una esistenza segnata da malattie e problemi di ogni genere); abbiamo fecondazioni eterologhe (su richiesta o a insaputa dei genitori); fecondazione eterologhe di single e di lesbiche (l’Arcilesbica diffondeva kit per l’auto-inseminazione); centri di Fiv in cui si praticavano diagnosi pre-impianto a prezzi esorbitanti (con relativa distruzione di embrioni), per coppie non sterili; mamme-nonne come la celebre Rosanna Della Corte, di 63 anni; nonne che portavano in grembo il figlio della figlia; donne iperstimolate per produrre decine e decine di ovuli (con cui poi praticare la Fiv, ma anche esperimenti di clonazione…); esperimenti per la produzione di ibridi e chimere; consensi informati totalmente fasulli e senza controlli…

Tutte cosette che la fecondazione artificiale porta purtroppo inevitabilmente con sé. Ricordo che allora il mondo cattolico perse buona parte del sostegno che aveva invece ricevuto anni prima da componenti del mondo femminista (in parte avverso a tecniche che utilizzano le donne come cavie) e del mondo dei verdi e degli ecologisti, che in un passato recente avevano messo in guardia dalle manipolazioni dell’umano. La battaglia fu condotta da molti in nome di alcuni principi di diritto naturale: la vita non si può mettere in vendita; la fecondazione artificiale separa l’atto d’amore dalla procreazione, scindendo ciò che in natura é unito; la fecondazione artificiale uccide 9 embrioni su 10, determinando danni molto spesso gravi alle donne (causa l’iperstimolazione ovarica) e “producendo” bambini, come tutte le ricerche continuano a dimostrare, con un tasso molto più alto di patologie rispetto a quelle presenti nei nati da concepimento naturale. In verità il fronte pro life fu in parte funestato, in quel periodo, da dissidi interni: da una parte chi lavorò subito ad una legge di compromesso, come appunto la legge 40, dall’altra chi disse che questo modus procedendi (iniziare dal compromesso) era sbagliato. 

Personalmente mi schierai con i secondi, convinto che una battaglia di bandiera, in Parlamento, dovesse essere fatta. Infatti, un piccolo gruppo di deputati, fra cui qualche amico, avevano proposto un disegno di legge molto semplice: la fecondazione artificiale è proibita, in quanto pratica disumana. Una simile posizione, era ovvio, non aveva neppure con il Parlamento di allora (molto migliore di quello di oggi), alcuna possibilità di riuscita. Sarebbe stata dibattuta e archiviata in breve. Ma avrebbe quantomeno lanciato un segnale politico, che avrebbe poi dovuto essere valorizzato a livello culturale. Invece qualcuno insistette perché quella posizione non fosse manifestata, neppure per lo spazio di un mattino, non solo in Parlamento, ma poi neppure sui media amici. Generando così un grosso equivoco. La legge 40, infatti, fu forse in quelle circostanze quanto di meglio (dettaglio più, dettaglio meno, ma siamo nell’opinabile) si potesse ottenere: in un Parlamento moderno le leggi, anche quelle sui principi che non sarebbero negoziabili, le fanno le maggioranze. 

Ma una cosa è fare una battaglia per portare a casa il massimo risultato possibile (divieto di eterologa, di utero in affitto, di mamme-nonne, di ibridi e chimere, di fecondazione ai single…), spiegando bene a tutti che il massimo risultato, in certe circostanze, non coincide con una vittoria; un’altra dire che l’aver guadagnato alcuni metri nella guerra di trincea significa aver vinto la guerra. Mi spiego meglio: credo, personalmente, che la legge 40 abbia significato un miglioramento della situazione esistente pre-legge (contribuendo anche a mantenere viva quantomeno una certa idea di famiglia come unione di uomo-donna e figli), e che abbia anche permesso al nostro Paese di essere, per un po’ di anni, un po’ meno nichilista degli altri Paesi europei.

Ma la difesa di tale legge, una volta che essa venne approvata da una maggioranza parlamentare trasversale (difesa che poi si fece tutti insieme boicottando il referendum, e dimostrando così che in certe circostanze ci si mobilita anima e cuore anche non per un bene, ma per impedire un male maggiore), avrebbe dovuto essere più chiara e comprensibile, evitando quello slittamento pericoloso che invece vi fu: si iniziò spesso a dire che si difendeva la legge 40 non come il massimo bene possibile in un dato momento, per limitare una realtà ancora peggiore, ma come un bene in se stesso. Lasciando così credere che la Fiv omologa, tra coniugi, è buona, mentre l’eterologa no. E omettendo di continuare a ricordare, ad esempio durante il referendum e anche dopo, l’immoralità e la pericolosità intrinseca di ogni procedimento di fecondazione artificiale. 

Questa incapacità di qualcuno di distinguere i piani (quello politico, in cui vince la maggioranza), da quello culturale (in cui in ogni caso si deve e si può dire tutta la verità), mi sembra oggi presente, in altro modo, nel dibattito sulla fecondazione eterologa. Vediamo di paragonare il 2004 al 2014. Nel 2004 si fece una legge per diminuire le follie di fatto, permesse dalla mancanza di una legge. In simile situazione il dibattito sulla liceità o meno di un intervento legislativo deve tenere conto di vari fattori complicati: la legge in questione rappresenta davvero un miglioramento? É lecito, di fronte ad un male di fatto, ma non di diritto, normare detto male, al fine di renderlo meno grave? 

Nel 2014 la situazione è molto più semplice: la Corte costituzionale ha stabilito che l’eterologa è costituzionale; che è come l’omologa; che è un diritto. Questo ha permesso ai vari Rodotà, ai radicali, a molti deputati di sinistra, ai centri di Fiv, a magistrati come Amedeo Santosuosso, di chiedere l’immediata applicabilità della sentenza, senza alcuna “intromissione” del potere politico. Lo slogan di costoro è chiaro: “il ministro non intervenga, basta la sentenza della Corte”. Oggi come nel 2004 i nemici della vita e della famiglia non vogliono alcun intervento del legislatore. Sperano di andare avanti a colpi di magistratura e di libero mercato della vita umana. Così Repubblica del 24 luglio, nel titolo e nel sottotitolo: “Fecondazione eterologa, giuristi contro il ministero della Salute”: «Cerca di ritardare il via libera a una tecnica che dopo la sentenza della Consulta è immediatamente legale: non c'è bisogno di passaggi al Parlamento». E lanciano un manifesto e una raccolta di firme.

Quanto al contenuto dell’articolo, bastino le prime righe: «Non esiste vuoto normativo sull'eterologa, la sentenza della Consulta è immediatamente applicabile e i centri italiani possono subito riprendere le tecniche di fecondazione con donazione di gameti. Lo afferma il Manifesto di giuristi, lanciato in rete e che si può firmare sul sito dell'associazione Coscioni che lo ha promosso. Elaborato dal presidente Filomena Gallo e dal giurista Stefano Rodotà, è stato sottoscritto da decine di uomini di legge, docenti di biodiritto come Gianni Baldini e tra gli altri Andrea Pugiotto, Ordinario di Diritto costituzionale, e Paolo Veronesi, professore associato di Diritto Costituzionale. Nell'appello si accusano il ministero della Salute e alcune lobby culturali del Paese di tentare con ingiustificati deterrenti di ritardare l'applicazione del dispositivo costituzionale».

Perché questa avversione preventiva a qualunque intervento legislativo? Per impedire qualsiasi regolamentazione che metta anche un poco in difficoltà l’assoluta libertà, garantita dalla sentenza della Corte, dei centri di Fiv (in particolare quelli privati). Se così fosse avremmo in un attimo lo scatenarsi del cosiddetto baby business: banche degli ovuli e del seme, senza limiti di “donazioni” (con il ritorno a potenziali padri e madri di decine e decine di figli genetici sparsi per il paese); possibilità per gli acquirenti di comperare ovuli e seme in appositi cataloghi, a seconda dei soldi disponibili e dei desideri eugenetici; facilità per coppie gay di ricorrere di fatto alla Fiv… Si pensi solo a questo fatto. Dati recenti dicono che negli Usa, dove le cliniche private che fanno Fiv crescono ogni giorno di numero e di ricchezza, gli ovuli di prima qualità costano mediamente 4500 dollari, ma possono arrivare sino a 50.000, mentre il seme maschile viene venduto a prezzi che variano da 300 a 3000 dollari. Questo è il mercato dell’umano che la Corte, e chi ne esalta l’operato, vuole permettere anche da noi. 

Il ministro Beatrice Lorenzin, invece, ha deciso di intervenire. Nonostante Rodotà, i radicali, i centri di Fiv (leggermente sospetti di conflitto di interessi). Il suo intervento, coraggioso visti gli inviti pesanti e insistenti a stare ferma, non può essere giudicato a monte: non è infatti in discussione l’eterologa (la Corte ha già deciso!), ma come regolarne il ricorso. Vietando o limitando l’anonimato (che tutela i venditori di seme e di ovuli, ma non i bambini che nasceranno), imponendo la gratuità, cercando di sottrarre in parte l’eterologa al mercato, impedendo la possibilità dei compratori di scegliere il donatore in base a principi di eugenetica, razziali o altro ecc., il ministro sta rimettendo in campo un po’ di quel buon senso cui la Corte ha volutamente abdicato. Può muoversi solo entro precisi paletti che le sono imposti da fuori (sentenza della Corte, coerenza con il trattamento riservato all’omologa…). Mi sembra giusto, da un punto di vista politico, riconoscerglielo. Da un punto di vista culturale, invece, il lavoro è sempre quello: mostrare e rimostrare con i dati, con ricerche, facendo appello al buon senso, che omologa ed eterologa sono contro l’uomo.