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IRAQ

Erdogan soffia sul fuoco delle divisioni settarie

Più grave ancora dell'Isis è la minaccia che incombe sul dopoguerra. Intervistato da una Tv saudita, il presidente turco Erdogan dichiara che a Mosul, una volta scacciati gli jihadisti, solo i sunniti avranno diritto di viverci. E sciiti e cristiani, scacciati dalle loro case? E' la logica settaria, alimentata da Ankara e Riyad.

Esteri 12_10_2016
Recep Tayyip Erdogan

Il male principale che affligge Siria e Iraq non si chiama Stato islamico. All’origine del disastro e dell’orrore di una guerra che va avanti dal 2011 non ci sono i jihadisti e anche quando saranno sconfitti, i problemi resteranno. Lo dimostra una semplice frase pronunciata da Recep Tayyip Erdogan, in un’intervista a Rotana, canale televisivo dell’Arabia Saudita. Il presidente della Turchia, parlando dell’Iraq e dell’imminente inizio della battaglia per la riconquista di Mosul, ha dichiarato candidamente: «Dopo che Mosul sarà liberata dal Daesh (acronimo arabo per Isis, ndr), solo gli arabi sunniti, i turkmeni e i curdi sunniti dovrebbero rimanere lì». Posto che non bisognerebbe dividere un popolo in base alla sua appartenenza religiosa, Erdogan si è dimenticato due gruppi piuttosto consistenti: gli sciiti e i cristiani.

I terroristi islamici hanno conquistato la seconda città più importante dell’Iraq nell’estate del 2014. Se in principio si sono mossi con cautela, a partire dal 16 luglio hanno cominciato a marchiare le case dei cristiani con la lettera araba “N”, che sta per “Nazarat”, cristiani appunto. Tutti gli edifici sono stati dichiarati “beni di proprietà dello Stato islamico”. Pochi giorni dopo i jihadisti hanno presentato un ultimatum ai cristiani: o pagate il tributo umiliante (jizya, la tassa di sottomissione prevista nel Corano), o vi convertite all’islam o ve ne andate, oppure saremo costretti a uccidervi. Tutti, pur di non abbandonare la loro fede, se ne sono andati, rifugiandosi nel Kurdistan iracheno, mentre gli islamisti all’uscita della città li spogliavano di tutti i beni che si erano portati dietro. Qualcosa di simile è accaduto anche agli sciiti visto che le loro case sono state marchiate con la lettera araba “R”, con la quale inizia la parola “Rawaafid”, rinnegati, disertori, perché gli sciiti non riconoscono la linea di successione che lega il primo califfo Abu Bakr al profeta Maometto. Sia i cristiani sia gli sciiti sperano, una volta riconquistata la città, di poter tornare alle proprie abitazioni e negozi. Perché Erdogan spiega allora alla televisione saudita che la città va riservata solo ai sunniti?

Turchia e Arabia Saudita sono i paesi che, insieme al Qatar, hanno più sostenuto la guerra in Siria (che poi si è propagata anche in Iraq). Non hanno solo appoggiato i cosiddetti “ribelli”, i cui vertici politici hanno sede guarda caso ad Ankara, ma anche finanziato e armato una galassia di milizie jihadiste con l’obiettivo di rovesciare il governo dittatoriale di Bashar al-Assad, presidente sciita del paese. Erdogan, inoltre, ha fatto anche passare dalle sue frontiere decine di migliaia di giovani musulmani europei e non, desiderosi di unirsi allo Stato islamico, ingrossandone così le fila. Questa strategia, rovinata dall’intervento russo di Vladimir Putin a difesa di Assad, ha portato danni consistenti ad entrambi i paesi: ai turchi, in termini di attentati jihadisti, e ai sauditi dal punto di vista di perdite economiche miliardarie.

L’insistenza ossessiva con cui Ankara e Riyad cercano di distruggere gli unici due paesi del Medio Oriente, oltre all’Iran, che hanno un governo sciita (i sauditi fanno anche guerra ai ribelli sciiti houthi in Yemen), con tutto ciò che ne consegue, fa capire che il problema di Siria e Iraq non è l’Isis ma la guerra interna all’islam tra sunniti e sciiti. Come vanno ripetendo da anni i vescovi siriani e iracheni, se le potenze straniere non finanziassero e armassero con insistenza le milizie jihadiste nel paese, la guerra sarebbe finita da un pezzo e del massacro di Aleppo, la nuova Sarajevo, non si avrebbe notizia.

Invece, dopo oltre cinque anni di guerre sanguinose, ancora un presidente come Erdogan soffia sul fuoco delle divisioni settarie e propone con la complicità saudita di privare cristiani e sciiti delle loro case. Ankara ha appena annunciato che i suoi rapporti con Riyad diventeranno ancora più stretti. E questa, per la pace, potrebbe essere una minaccia ancora più grave dell’Isis.