Erdogan si avvicina all'Ue trascinandosi la questione curda
Proprio mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sorrideva nella "foto di famiglia" europea a Bruxelles, nel suo paese veniva assassinato Tahir Elci, avvocato curdo, attivista dei diritti umani. L'episodio è più grave di quanto Ankara non faccia credere. Ed è sintomo di un conflitto più ampio con i curdi, il più grave problema non risolto nella Turchia moderna.
L’assassinio di Tahir Elci, noto avvocato e personalità curda di primo piano, ha innescato ulteriore tensione in una Turchia stretta nella morsa di una crisi ben più grave di quanto il suo governo voglia far credere. Decine di migliaia di persone hanno seguito ieri il suo funerale a Diyarbakir, capitale di fatto di quell’ampia parte della Turchia sudorientale che è abitata in larga maggioranza da curdi.
Tahir Elci era stato colpito a morte il giorno prima proprio mentre stava lanciando un pubblico appello alla riconciliazione tra governo turco e ribelli curdi. L’assassinio, che allunga un’ulteriore ombra sulla capacità del governo di Ankara di essere all’altezza delle sue ambizioni neo-ottomane, è avvenuto proprio alla vigilia del vertice Unione Europea / Turchia sull’emergenza profughi. Il vertice, che ha avuto luogo ieri a Bruxelles, era stato sostanzialmente convocato per formalizzare il riavvio dei negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea della Turchia nonché il versamento da parte dell’Unione di ben 3 miliardi di euro nelle sue casse in cambio dell’impegno a fermare il flusso dei profughi siriani che attraversano il suo territorio diretti in Europa.
Un trionfante primo ministro turco fa bella mostra di sé nella foto ufficiale di gruppo (la cosiddetta “foto di famiglia”) scattata al termine dell’incontro sotto la bandiera dell’Ue e quella della Turchia affiancate. E non avrebbe potuto essere diversamente: giocando con cinismo la carta dei profughi siriani Ankara ha ottenuto esiti superiori a ogni più rosea aspettativa. Non soltanto un sacco di soldi ma anche appunto la riapertura dei negoziati per il suo ingresso nell’Unione. L’operazione era stata attentamente preparata; basti dire che campi di accoglienza per futuri profughi erano stati predisposti a ridosso del confine della Turchia con la Siria già prima che, formatosi lo “stato” dell’Isis anche grazie all’indiretto sostegno di Ankara, iniziasse l’esodo di civili siriani dalle regioni della Siria perciò trasformatesi in un campo di battaglia. I campi di prima accoglienza sono a circa 1500 chilometri di distanza in linea d’aria dal confine della Turchia con la Grecia. E’ dunque evidente che, dall’Anatolia orientale ove si trovano, centinaia di profughi siriani possono raggiungere la frontiera greco-turca, ovvero le coste turche prossime a isole greche, soltanto se le autorità turche ne promuovono, ne finanziano e ne organizzano il trasporto. Ankara ha infatti organizzato e gestito tali flussi usandoli come mezzo di pressione su un’Unione Europea incapace e disorganizzata. E, a quanto ieri si è visto a Bruxelles, con grande successo.
Il meccanismo era ben congeniato, ma un imprevisto potrebbe bloccare tutto. I campi profughi sono nel Kurdistan. Se dunque l’attrito fra le autorità turche e la popolazione locale, esasperata da episodi come il fatto di sangue dell’altro ieri, dovesse sfociare in una vera e propria rivolta generale, tra l’altro i profughi siriani non potrebbero più venire facilmente trasportati alle frontiere con l’Ue ogni volta che Ankara lo ritenesse opportuno. Quindi la capacità di ricatto della Turchia nei confronti dell’Ue ne uscirebbe radicalmente ridimensionata.
Quello dei curdi, che sono quasi il 20% della sua popolazione, è il grande problema irrisolto della Turchia moderna, che purtroppo nacque ispirandosi all’ideologia nazionalista europea (con nefaste conseguenze in un Paese che era un mosaico di popoli diversi). Il “padre della patria” Mustafà Kemal Atatürk pensò bene di risolvere il problema massacrando ed espellendo gli armeni sopravvissuti al genocidio del 1915-16, nonché i greci e i cristiani siriaci, con l’attiva collaborazione dei curdi, non turchi ma comunque musulmani. Terminato il massacro e l’espulsione delle minoranze cristiane, la nuova Turchia di Atatürk non esitò però a volgersi anche contro i curdi. Pur senza tentare di sterminarli ed espellerli (forse anche perché il loro stesso numero rendeva l’impresa troppo difficile) cercò di turchizzarli, vietandone la lingua e la cultura. Fino a pochi anni fa persino parlare in curdo in casa propria era illegale. La conseguenza di tale politica è una tensione che spesso sfocia in mobilitazioni e in rivolte. Incurante della gravità di questi suoi problemi irrisolti, la Turchia ha ciononostante l’ambizione di ritagliarsi uno spazio nel vuoto politico che si è aperto a seguito della crisi in Siria e nel vicino Nord Iraq. In questa crisi gioca perciò un ruolo inevitabilmente ambiguo e nefasto che l’Unione Europea, se ne fosse capace, farebbe bene a contenere. Altrimenti la crisi in atto nella regione non solo non si risolve ma anzi si allarga pericolosamente.