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CIPRO

Erdogan mostra i muscoli e se la prende con l'Eni

Saipem 12000, una nave da perforazione italiana dell’Eni, stava navigando nelle acque della Zona Economica Esclusiva di Cipro, quando è stata avvicinata e fermata da tre navi da guerra della marina militare turca. La nave italiana è vittima di un periodo di forte tensione fra la Turchia, la Grecia e Cipro. 

Esteri 13_02_2018
La nave dell'Eni bloccata dai turchi

Saipem 12000, una nave da perforazione italiana dell’Eni, stava navigando nelle acque della Zona Economica Esclusiva di Cipro, quando è stata avvicinata e fermata da tre navi da guerra della marina militare turca. Le unità militari hanno segnalato lo stop per impedire che la navigazione della nostra nave interferisse con le manovre in corso, nel Mediterraneo Orientale. In realtà, dietro a questo atto che sfiora l’aggressione, si celano altre ragioni, sia economiche che politiche. La Turchia ha ingaggiato un braccio di ferro con la Grecia e con Cipro ed ora sta coinvolgendo anche l’Italia.

Nonostante, nel corso della visita a Roma, Recep Tayyip Erdogan venisse accolto con tutti gli onori dal premier Gentiloni e dal presidente Mattarella (oltre che da Papa Francesco in Vaticano), sul volo di ritorno, lunedì scorso, il presidente turco esprimeva il suo malumore nei nostri confronti. Le alte cariche dello Stato italiano avevano cautamente rimproverato Erdogan per la violazione dei diritti umani dopo il fallito golpe del 2016 e soprattutto per la sua iniziativa militare in Siria, in funzione anti-curda. Un’operazione che, secondo Gentiloni “danneggia la lotta all’Isis”. Proprio lo stesso giorno, il Parlamento Europeo approvava una risoluzione in cui si chiedeva di sospendere ogni cooperazione con il governo turco in materia di antiterrorismo fintanto che la legislazione antiterrorista turca non fosse modificata, e di porre fine ai negoziati sull’adesione della Turchia all’Unione Europea e alla sospensione dei fondi di pre-adesione della Turchia.  

Ma non era per questo che Erdogan esprimeva le sue perplessità sull’Italia. Semmai avvertiva, come riportava il quotidiano Hurryet, di essere preoccupato per “i passi falsi” che l’Eni avrebbe potuto compiere a Cipro. Giovedì scorso, la trivellazione del pozzo Calypso, da parte di Eni e Total ha dato risultati interessanti, puntualmente annunciati dai comunicati delle due compagnie, ha provocato l’immediato innalzamento della tensione. Le navi militari turche erano già in zona, le esercitazioni sono iniziate da settimane. Il loro intervento contro la nave da perforazione italiana rivela lo scopo reale della presenza militare in quelle acque. In realtà, il nuovo giacimento che potrebbe essere scoperto è in acque riconosciute come cipriote dalla comunità internazionale, ma che per il governo di Ankara sono turche. 

“Non ci aspettavamo che accadesse perché siamo assolutamente molto dentro la Zona Economica Esclusiva di Cipro”, dichiarava ieri l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. “Abbiamo già perforato dei pozzi in analoghe condizioni”, “nella Zona Economica di Cipro e non ci è successo assolutamente niente. Probabilmente la tensione è salita per altri motivi e quindi la nave è stata bloccata”, ha aggiunto il dirigente. “Noi stiamo aspettando. So che è un discorso” che “ci riguarda, ma non direttamente come interventi perché è un discorso fra i Paesi”. Cioè: Cipro, Turchia, Ue e Italia.

In realtà, anche se la legge è chiaramente dalla parte dell’Eni, questa reazione turca, un po’ era prevedibile. Cipro ha ratificato la Convenzione dell’Onu sul diritto del mare nel 1988, nel 2004 ha adottato una nuova legge che limita la sua zona esclusiva a 12 miglia nautiche (22 chilometri) e la Zee è stata delimitata con accordi bilaterali raggiunti con Israele, Libano ed Egitto. La Turchia, però, non ha mai firmato la Convenzione Onu, a causa delle sue numerose controversie con la Grecia e con Cipro. Erdogan contesta anche gli accordi bilaterali di Cipro del 2004, sostenendo che la Repubblica di Cipro non può rappresentare gli interessi della Repubblica Turca di Cipro Nord, lo Stato, etnicamente turco, nato dall’invasione turca del Nord dell’isola nel 1974 e riconosciuto dal solo governo di Ankara.

Non si sono fatte attendere troppo le reazioni diplomatiche al blocco navale che i turchi hanno imposto alla nostra nave. “La Turchia deve evitare ogni frizione che possa minacciare – o anche azioni dirette contro – uno stato membro dell’Ue che possano danneggiare le buone relazioni di vicinato” ha dichiarato la Commissione Ue. “Esorto la Turchia ad evitare minacce o azioni contro qualsiasi membro della Ue e ad impegnarsi piuttosto in buone relazioni di vicinato, nella soluzione pacifica di controversie, ed al rispetto della sovranità territoriale”, ha ribadito Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo. Mentre il ministero degli Esteri greco, coinvolto da vicino nella nuova crisi navale, elogia: “l'atteggiamento calmo e composto di Cipro, che riafferma il suo ruolo di pilastro della stabilità nel Mediterraneo Orientale”.

Il problema, però, è che non è il periodo giusto per scendere a patti con la Turchia. C’è molto testosterone che circola nel sangue dei militari e dei politici turchi in questo mese. Non solo per le operazioni militari in corso nel Nordovest della Siria, contro i curdi, ma anche per il braccio di ferro navale con la Grecia, che sta continuando da dicembre scorso. Imia (Kardak), isola disabitata nell’Egeo orientale, il cui possesso è oggetto di dibattito fra Grecia e Turchia, è stata occupata dai greci. La tensione è salita alle stelle quando il ministro della difesa di Atene ha cercato di recarsi in visita sull'isolotto. E’ proprio di venerdì scorso, alla vigilia dell’incidente con la nave italiana, la dichiarazione del generale turco Hulusi Akar: “Abbiamo la forza di condurre le operazioni nella provincia di Afrin (contro i curdi in Siria, ndr) e di mantenere l’Egeo sotto il nostro controllo”. La nostra nave è finita in bocca ai turchi al momento sbagliato.